Da gennaio 2009 70 corsi su tutto il territorio nazionale. Il prof. Craxì “Anche nella forma cronica possiamo trattare i pazienti a tempo indefinito, con buona qualità di vita”
Firenze, 22 novembre 2008 – Il medico di famiglia “torna a scuola” per gestire al meglio l’epatite B: a partire dal gennaio 2009 la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) avvierà 70 corsi specifici su tutto il territorio nazionale. L’annuncio arriva dal 25° Congresso annuale della Società, che si conclude oggi a Firenze. Uno dei principali problemi è infatti la sottostima del problema, a partire in primo luogo dai medici di famiglia: “Le ragioni sono molteplici – spiega Alessandro Rossi, responsabile dell’area infettivologica della SIMG -: in primo luogo, si è attribuita alla strategia vaccinale in atto in Italia dal 1991 un’efficacia maggiore di quella effettiva. Ma soprattutto vanno considerati i flussi migratori, che hanno rafforzato la presenza del virus nel nostro Paese. Il nostro primo compito quindi è fungere da sentinelle, per imparare a cogliere i sintomi della malattia e a porre le domande giuste alle persone potenzialmente a rischio”. Si tratta di una vera e propria epidemia silenziosa con sintomi iniziali spesso piuttosto blandi ma con conseguenze cliniche che possono essere molto gravi: su 100 pazienti infettati in età infantile, 10 andranno incontro dopo i 50 anni a tumore del fegato o cirrosi.“In Italia sono affette da epatite B cronica circa 700mila persone – commenta il prof. Antonio Craxì, direttore della scuola di Gastroenterologia dell’Università di Palermo - e si registra una nuova area di vulnerabilità che riguarda gli immigrati provenienti da zone in cui la prevalenza della malattia è molto più elevata. Ma fortunatamente negli ultimi anni si sono ottenuti progressi terapeutici importanti. In particolare Entecavir - antivirale orale ad alta barriera genetica, scoperto e sviluppato nei centri di ricerca di Bristol-Myers Squibb - ha dimostrato di essere efficace nell’impedire l'evoluzione verso stadi più gravi della malattia: sono stati recentemente presentati i dati a sei anni, da cui risulta una riduzione dei danni a carico del fegato in ben il 96% dei pazienti. Questo grazie alla sinergia fra la potenza dell’alta barriera genetica e la necessità per il virus di sviluppare almeno tre mutazioni per sfuggire all’effetto del farmaco. L’assenza di resistenze è uno dei vantaggi principali di questa molecola: permette di trattare i pazienti a tempo indefinito, senza riprese di malattia, permettendo loro di condurre una vita normale”. La scarsità di effetti collaterali importanti facilita inoltre il monitoraggio dei pazienti, un momento importantissimo del processo terapeutico, che deve vedere uniti medici di famiglia e specialisti.