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8 Luglio 2008. Da un’indagine la proiezione dei possibili risparmi in sanità fino al 2050

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DAL 2010 OLTRE TRE MILIARDI DI EURO L’ANNO DI RISPARMI DALLA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE CON INTERVENTI ADEGUATI SUL COLESTEROLO

 

Lo dimostra un’indagine promossa dalla Fondazione SIMG e realizzata dal professor Vincenzo Atella della Facoltà di Economia di Roma “Tor Vergata” – Controllando adeguatamente l’ipercolesterolemia, considerata uno dei più potenti fattori di rischio cardiovascolare, le Regioni potrebbero realizzare ogni anno risparmi fino a 3,3 miliardi di euro l’anno nel 2010 e 4,5 miliardi nel 2040 – I risultati dello studio commentati dal mondo medico-scientifico – Le valutazioni politico-economiche dei senatori Mario Baldassarri e Nicola Rossi

 

Roma, 8 luglio 2008
L’Italia potrebbe risparmiare già dal 2010 oltre tre miliardi di euro l’anno in spese sanitarie se adottasse le strategie più efficaci per abbattere l’eccesso di colesterolo nel sangue, che oggi è considerato dalle linee guida internazionali uno dei più potenti fattori di rischio cardiovascolare. È questo il dato principale che emerge dai risultati di un'indagine promossa dalla Fondazione SIMG – che fa capo alla Società italiana di Medicina generale – e realizzata dal professor Vincenzo Atella, della Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”. L’analisi, oltre a indicare che i risparmi complessivi potrebbero superare nel 2040 i 4,5 miliardi di euro l’anno, offre anche un dettaglio delle economie realizzabili ogni anno, sempre nel campo delle malattie cardiovascolari, da ciascuna Regione italiana. Sommando i relativi importi, nell’arco dei prossimi 20 anni sarebbe possibile realizzare un risparmio complessivo netto di oltre 60 miliardi di euro, e di oltre 120 miliardi fino al 2050.

L'indagine ha esaminato l’influenza che un’efficace strategia di intervento sul colesterolo a fini di prevenzione – primaria e secondaria – delle malattie cardiovascolari potrebbe avere sui costi sanitari regionali. Per esempio, si stima che la Regione Lazio avrebbe potuto risparmiare già dal 2008 oltre 320 milioni di euro, che salirebbero nel 2010 a quasi 340 per arrivare nel 2040 a circa 450 (a prezzi costanti). La Campania avrebbe potuto risparmiare nel 2008 circa 330 milioni, che salirebbero nel 2010 a circa 340 per arrivare nel 2040 a 506. Per la Puglia i risparmi nel 2008 sarebbero stati pari a 205 milioni, nel 2010 a 211 milioni e nel 2040 a circa 290 milioni. In Sicilia si sarebbero risparmiati nel 2008 306 milioni, nel 2010 311 e nel 2040 circa 405. Infine, una Regione come la Lombardia avrebbe potuto risparmiare nel 2008 addirittura circa 630 milioni, che nel 2010 salirebbero a 664 per arrivare nel 2040 a circa 920 milioni.

I dati raccolti dall’indagine promossa dalla Fondazione SIMG sono stati al centro di un dibattito che si è sviluppato nel corso di un incontro stampa sul tema “ Prevenzione cardiovascolare: costo o investimento?”, che si è tenuto oggi a Roma. Gli economisti di Tor Vergata hanno elaborato una previsione dei costi diretti e indiretti riconducibili alle malattie 2 di 4 cardiovascolari, utilizzando dati clinici raccolti presso 796 medici di medicina generale, per un totale di 1.532.357 pazienti.

«La finalità dell'indagine» ha ricordato in apertura il coordinatore della ricerca, Vincenzo Atella «era quello di determinare economicamente, ripartendolo per singola Regione, il risparmio annuo derivante dalla conseguibile riduzione dei ricoveri ospedalieri nel caso un maggior numero di pazienti con malattie cardiovascolari iniziasse una terapia farmacologica ipolipemizzante mirata. Dal punto di vista economico, il risparmio potenziale viene ottenuto moltiplicando il costo totale unitario (costi diretti + indiretti) di un evento cardiovascolare per il numero di eventi potenzialmente evitabili attraverso il miglioramento della terapia farmacologica in ogni Regione. Uno degli aspetti più interessanti emerso dall'indagine è che i benefici che deriverebbero da una tale strategia di prevenzione sono immediatamente disponibili. Basti pensare che se si potesse avviare subito una prevenzione primaria e secondaria ottimale, già a fine anno sarebbe possibile registrare risparmi pari a circa 1,5 miliardi di euro!».

«I dati illustrati oggi e le conseguenti possibili riduzioni della spesa sanitaria si fondano sui parametri attualmente utilizzati per valutare l’impatto economico della prevenzione cardiovascolare in pazienti con ipercolesterolemia e rischio cardiovascolare globale medioalti o elevati» ha sottolineato Claudio Cricelli, presidente della SIMG e rappresentante dell’omonima Fondazione. «In questi pazienti l’intervento farmacologico per ridurre la colesterolemia è pressoché obbligatorio. Sarebbe interessante un’indagine analoga su individui a rischio intermedio, medio-basso o ridotto, in cui potrebbe bastare intervenire sugli stili di vita. Questi dati» ha concluso Cricelli «invitano comunque a una riflessione: se la tendenza alla crescita della spesa è delle dimensioni citate, è necessario valutare con attenzione se non sia corretto rivedere questi parametri secondo una giusta scelta di politica sanitaria».

«La spesa sanitaria è la bomba ad orologeria dell’Europa e dell’Italia» ha commentato Mario Baldassarri, senatore PdL e presidente della Commissione Finanza e Tesoro del Senato, esprimendo la sua preoccupazione: «I dati dello studio evidenziano chiaramente che prevenire costa meno che curare». Gli ha fatto da contrappunto Nicola Rossi, senatore PD e membro della Commissione Bilancio del Senato: «Questi risultati segnalano come porre la questione della spesa sanitaria in termini di tagli o di ticket sia quanto meno riduttivo. Sensibili riduzioni della spesa sanitaria sono ottenibili già nel breve periodo ponendo le condizioni per un minor ricorso alle strutture sanitarie. A questo si aggiunga, come questa ricerca dimostra, che avremmo avuto i dati per una programmazione compiuta della spesa sanitaria e non saremmo stati quindi costretti come oggi a misure tampone ogni volta che si pone il problema».

«Nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, l’obiettivo terapeutico è molto ambizioso: per la categoria a rischio più elevato, le linee guida richiedono, infatti, di portare il colesterolo- LDL sotto i 70 mg/dl» ha commentato Alberico L. Catapano, ordinario di Farmacologia all’Università di Milano. «In questi casi è del tutto evidente che l’intervento va condotto in modo adeguato e proporzionato all’obiettivo da ottenere, la qual cosa – senza trascurare gli interventi sullo stile di vita – richiede necessariamente l’impiego dei farmaci». «E’ opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che trattare, per esempio con statine, senza raggiungere o almeno avvicinarsi all’obbiettivo terapeutico, costituisce uno spreco economico duplice, in quanto non soltanto si prescrivono inutilmente farmaci, ma non si preverranno le complicazioni prevedibili e quindi il ricorso alle strutture sanitarie. A questo si aggiunge il paradosso di un parallelismo tra spreco economico, clinico e insufficiente attenzione alle esigenze del paziente in termini di salute, che rimane pur sempre l’obbiettivo primario dell’operatore sanitario a tutti i livelli» ha aggiunto Claudio Cortese, ordinario di Biochimica clinica all’Università di Roma “Tor Vergata”.

«E’ auspicabile, in linea con tali affermazioni, una sempre stretta collaborazione tra le istituzioni e la ricerca clinica, al fine di progredire nello sviluppo di moderne strategie ed essere aperti, con la dovuta cautela e il controllo delle organizzazioni responsabili, a innovazioni in grado di ottimizzare non soltanto l’efficacia dell’intervento, ma anche la maggiore soddisfazione del paziente e del suo medico» ha concluso Cortese.

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