Rivista
SIMG (www.simg.it) Agosto,
dottore mio non ti riconosco A. Pagni -Presidente SIMG "Processo ai medici - rapporto su una professione sempre più discussa", era questo il titolo della copertina che la rivista "Il mondo" ci ha dedicato in agosto.Dodici pagine di commenti, a conforto di una indagine demoscopica condotta dalla CIRM su un campione di 352 intervistati, dalla quale risultava, tra laltro, che nel 19% dei cittadini era diminuita la fiducia nei medici in questo ultimo anno, che dopo il caso Di Bella il 27% degli italiani aveva peggiorato il suo giudizio su di loro, e che dopo la vicenda del doping al tour di Francia questa percentuale era salita al 34%. Dalla stessa indagine risultava poi che il 27% dei cittadini era insoddisfatto del medico di famiglia perché scarsamente capace di comunicare con il paziente, il 26% perché non segue con attenzione lo sviluppo delle condizioni cliniche, il 25% perché presta poca attenzione, il 9% perché è difficilmente reperibile, il 2% perché usa un linguaggio incomprensibile, mentre il restante 11% degli intervistati non esprimeva alcuna opinione. Come si vede, anche se le indagini
demoscopiche hanno un valore relativo, non si metteva in dubbio la capacità
"tecnica" del medico di famiglia ma le sue "attitudini relazionali e
comunicative". Perfino nelle facoltà di medicina se ne parlava, anche se con altri scopi e obbiettivi, se è vero che il Prof. Sogliano, nel 1870, insegnava a Napoli, ai suoi studenti che: "il consulente libero professionista, si lascia dietro di sé la folla dei medici curanti, poiché si è coltivato negli studi ed ha ottenuto, per ragion di sommo merito, lonor del primato, dellopinione pubblica" recidendo la dipendenza da una clientela che continua "ad importunare i medici curanti chiede loro ragione del trattamento proposto, della sua promessa e mancata efficacia e spesso della morte avvenuta per la quale non poche volte sono chiamati in colpa". A distanza di più di cento anni, anche se questa gerarchia di valori è rimasta immutata nella opinione di molti cittadini, la differenza è che oggi non sono più "importunati" soltanto i medici curanti ma anche i consulenti, e "i grandi medici", sempre più spesso accusati di malpractice, di avidità di danaro e di disumanità, e ai medici curanti si chiede di svolgere il ruolo di agenti del traffico. Nel 1956 Szasz e Hollender, elaborando la
tesi funzionalista di Parsons, formularono lipotesi di tre tipologie basilari della
relazione medico/paziente: attività/passività, il cui prototipo era quello del rapporto
tra un genitore ed un bambino, guida/cooperazione, tipica del rapporto tra un genitore e
un figlio adolescente, e infine un rapporto di partnership tra adulti nel quale il medico
aiuta il paziente ad aiutare se stesso. Alcuni ricercatori osservarono tuttavia
che esisteva anche una quarta tipologia della relazione, trascurata da S. e H., nella
quale chi "guida" è il paziente e il medico "coopera" nel soddisfare
le richieste del paziente stesso, prescrivendo farmaci, rilasciando certificati o
richiedendo visite specialistiche non motivate da una esigenza clinica reale. Intorno agli anni 70 fu proposta
unaltra ipotesi di interazione tra medico e paziente vista come uno "scontro di
prospettive" e di latente e potenziale conflitto tra i due originato dai diversi
interessi, aspettative, conoscenze e valori del paziente rispetto al professionista. Probabilmente questi modelli di relazioni,
seppure mantengono tuttora validità in un rapporto inter-individuale, dovrebbero essere
rivisti alla luce degli sviluppi e dei cambiamenti avvenuti sia nella organizzazione della
assistenza ai malati che nello scenario sociale nel quale si organizzano le cure. Da un
lato la prevalenza delle malattie croniche e dei tumori, che si possono curare ma spesso
non guariscono, ha comportato che il rapporto tra il medico e il paziente, fosse
"diluito" nel tempo tra curante e consulente/i. Dallaltro lato è indubbio che siamo in presenza di un mutamento sociale profondo, che modifica rapidamente i comportamenti individuali creando nuovi bisogni e valori, e uno scontro aspro tra chi intende mantenere gli assetti esistenti e chi vuole trasformarli recidendo i vincoli del passato. E poiché la "qualità della
vita" è divenuto un bisogno primario, e un programma-progetto della attuale
società, ciò spiega lesplosione di interesse sociale, un po confuso e
contraddittorio, che si ha oggi per la medicina e la organizzazione sanitaria. È ancora attuale un medico ippocratico, paternalistico, precettivo e autoritario, che opera per il bene del paziente, lo cura ma lo "ascolta" poco e non "si prende cura" della persona e del suo malessere? Ma in una società nella quale il cittadino rivendica autonomia e la libertà di sottoporsi, o meno, alle cure proposte, e il diritto di autodeterminarsi, davvero si vuole un medico che ci ascolti e si prenda cura di noi? È ancora soddisfacente il paradigma di una medicina di tipo esclusivamente oggettivistico-naturalistico, supportata dalla tecnologia, in una società pervasa dalla speranza, anche irrazionale di guarire ad ogni costo dalle attese miracolistiche, dalla magia, dallo spiritualismo orientale e dal rifiuto della morte? Dobbiamo esaminare serenamente i cambiamenti in atto in questa epoca di transizione, senza cedere alle mode e alla piazza, ma anche rinunciando a sterili impermalimenti o rifugiandosi nella protezione dei soli aspetti tecnici della professione. È proprio il Medico Generale a dover avviare per primo questo processo di autoanalisi e di rifondazione del proprio ruolo perché rappresenta lanello più importante in teoria, ma il più debole di fatto, del percorso diagnostico e terapeutico del paziente. Un percorso egemonizzato dalla medicina
specialistica e riduzionistica, vincolato (solo per il Medico Generale) da tetti di spesa
in gran parte condizionati da altri, e nel quale il Medico Generale è sempre più
frequentemente espropriato, nel suo approccio olistico e globale alla persona, anche dalle
medicine non convenzionali. Non ci si illuda però che barattando la fiducia nella autorevolezza e nella empatia del medico con la soddisfazione consumistica ed egoistica del paziente si ritrovi una alleanza su basi stabili e si rafforzi il ruolo del medico. Il cittadino deve fare il cittadino e il
medico il medico, senza confusioni di ruoli, evitando questultimo di farsi portavoce
di un concetto di "cittadinanza", emergente nella nostra società, che si
sostanzia in termini prevalenti di elargizione assistenzialistica dello stato a favore dei
gruppo più forti o più rumorosi, piuttosto che in termini di responsabilità e di
corresponsabilizzazione di tutti. Una progressiva estensione dei compiti
dello Stato aveva fatto prevalere il modello universalistico di tutela della salute, e
lutopia di uno Stato che soddisfa tutti i bisogni di salute dei cittadini, ma la
divaricazione crescente tra domanda e offerta in un regime di scarse risorse la
reintroduzione del mercato e della concorrenza pubblico/privato in sanità, hanno aperto
la strada ad una nuova e diversa considerazione dei diritti e alla possibilità di
correggere i comportamenti consumistici e le diseconomie presenti nello stato sociale. |