A 20 anni dalla sua
istituzione il Servizio Sanitario Nazionale scopre lesistenza della cura domiciliare
ai malati cronici, in particolare scopre che i malati di cancro in fase terminale possono
essere curati a casa.
Usare il verbo scoprire non è una forzatura, in questi 20 anni lospedale è stato
il punto di attrazione delle risorse, delle energie, delle attese. Tutto ciò che stava
fuori era, appunto, fuori.
Negli ultimi anni una improvvisa quanto improvvisata attenzione verso luso delle
risorse, sta spostando linteresse degli amministratori dei servizi sanitari verso il
territorio, il tutto con molta fretta.
Non cè tempo per analizzare i
problemi dei servizi territoriali, per valutare le possibili soluzioni, per consentire una
crescita graduale dopo aver costretto per tanto tempo allinerzia, alla mancanza di
sviluppo.
Non cè tempo per favorire la diffusione della cultura della palliazione, che è
soprattutto medicina di relazione, poca tecnologia e molta umanità, in controtendenza con
la medicina tecnologica, di organo, di malattia.
Quella del malato grave a casa è una cultura che si è
andata perdendo, ma che pian piano ricompare grazie a nuove sensibilità, al volontariato;
tale ripresa però è ancora fragile e va sostenuta, accompagnata con pazienza: per questo
serve tempo.
Molti Medici Generali hanno colto questa tendenza, il bisogno dei malati di essere curati
a casa quando è possibile, di non soffrire, di non subire terapie inutili, ed hanno
spesso dato risposte appropriate soprattutto se esisteva la possibilità di avere
assistenza a casa, grazie ad aiuti informali, alla famiglia, al volontariato, spesso in
stretta collaborazione con infermieri ed altri medici. In assenza di questa rete di
assistenza è difficile rimproverare scarsa attenzione alle cure domiciliari, era
obbligatorio rinunciarvi, nellinteresse degli ammalati.
Nel sentire una parte degli specialisti, soprattutto i più organizzati, e una parte del
volontariato, quella sempre meno riconoscibile come no profit, che esercitano pressioni
per "specializzare" le cure palliative, impedendone così la diffusione e
snaturandone il senso più vero e più profondo, temiamo che qualche amministratore
frettoloso possa immaginare una soluzione già altre volte sperimentata: uno specialista,
una tabella "cure palliative", magari in un ospedale fatiscente, a fianco del
diabetologo.
Cè bisogno invece, specie con risorse limitate, di
avviare programmi di sviluppo delle cure domiciliari prevedendo obiettivi intermedi,
investendo su una formazione multidisciplinare, arrivando a garantire la permanenza a casa
ai malati meno problematici (circa l80% del totale), e successivamente e
gradualmente porsi lobiettivo di rispondere a domicilio anche a problemi più
complessi, favorendo quella integrazione tra Medici Generali, specialisti, infermieri ed
altri operatori che solo lavorando e crescendo insieme riusciranno a dare risposte ai
bisogni di malati tra i più fragili.
Il tempo, volendo, si trova. |