Il dolore nei bambini
C.Blengini Medico Generale - Dogliani (Cuneo)
E. Pugno Medico Chirurgo - Torino

Il dolore è un’esperienza frequente nella maggior parte dei bambini affetti da cancro. Esso è differente da quello degli adulti, come differente è in questi piccoli pazienti la progressione della malattia. In questi soggetti, infatti, la sua evoluzione dopo la diagnosi risponde spesso in breve tempo alla terapia, e il dolore legato alla malattia scompare frequentemente in modo rapido. Se però la malattia recidiva e risulta resistente al trattamento, la progressione verso la morte è altrettanto rapida, e in questa fase il dolore ritorna a farsi sentire. Non bisogna dimenticare però che il dolore nei bambini è legato più di frequente al trattamento che alla malattia stessa. I protocolli aggressivi, che coniugano trattamenti farmacologici e chirurgici con quelli strumentali, hanno notevolmente incrementato il tasso di sopravvivenza di questi pazienti, comportando però, come conseguenza, una tossicità maggiore legata al trattamento stesso. Questa determina la comparsa di condizioni notevolmente dolorose (es: la comparsa di mucosite da raggi o da chemioterapia, di patologie infettive, o di neuropatie periferiche).

Questi piccoli soggetti sono spesso sottoposti a tecniche di trattamento altamente invasive e dolorose che vanno dalla "semplice" iniezione endovenosa, all’aspirato midollare fino alle biopsie. I protocolli aggressivi comportano spesso più iniezioni endovenose giornaliere, e sovente frequenti controlli midollari (agospirati con cadenza anche mensile). Un fatto non secondario, che va qui sottolineato, è che i bambini, a differenza degli adulti, non danno il loro consenso all’attuazione di questi interventi, spesso non ne capiscono lo scopo, oppure pensano, almeno nella fase iniziale, che esse siano di breve durata. C’è quindi la necessità per tutti i malati, ma in particolare per questi piccoli soggetti, di una preparazione adeguata alla comprensione di quanto dovrà avvenire, di un sostegno nei momenti difficili e di un trattamento efficace del dolore per tutte quelle procedure genericamente dette "invasive". Tutto questo non accade nella maggioranza delle situazioni, nonostante sia sostanziale o, se accade, è frutto più del caso o di una attenzione squisitamente personale dovuta alla soggettiva sensibilità di alcuni curanti, che di una precisa strategia di approccio codificata per queste situazioni. Il riuscire a fornire un trattamento ottimale del dolore nei bambini richiede a monte una comprensione di tutti i fattori che concorrono a dare forma all’esperienza dolore in questi pazienti. Tra questi sono essenziali il livello di sviluppo psicofisico del bambino, la sua capacità cognitiva ed emozionale, i tratti fondamentali della sua personalità e le sue passate esperienze che hanno informato la sua personale conoscenza del sintomo dolore. Non meno importanti sono anche lo stadio della malattia, le paure e le preoccupazioni inerenti la patologia, il suo decorso e la morte, come pure i problemi, gli atteggiamenti e le reazioni della famiglia alla malattia, la situazione ambientale e il retroterra culturale.

I medici curanti devono essere coscienti che i bambini con neoplasia soffrono di molti sintomi spiacevoli oltre al dolore quali, ad esempio, ansia, paura, depressione, ma anche stanchezza, prurito, dispnea, insonnia e infine paura di abbandono e di morte. La conoscenza del bambino, così come dei modelli di sviluppo e delle modalità di comportamento risultano elementi essenziali e irrinunciabili per valutare in modo adeguato e trattare efficacemente il dolore. Il suo trattamento in questi soggetti deve essere altamente individualizzato. Le strategie messe in opera per gestirlo devono tenere conto del livello di sviluppo del bambino, delle sue capacità di comprensione, della sua sensibilità, delle caratteristiche di personalità e delle modalità con cui affronta le situazioni problematiche. L’individualizzazione del trattamento diventa una risorsa indispensabile in caso di bambini con ritardo di sviluppo, difficoltà di apprendimento, disturbi emotivi o difficoltà di linguaggio. Una valutazione approfondita del dolore è utile non solo per la diagnosi, ma anche per prendere decisioni sulle strategie di trattamento. Si deve definire quanto questo sintomo influisce sulle attività quotidiane e sull’umore, cercando di capire come esso viene vissuto dal piccolo paziente e dalla sua famiglia.

L’informarsi attentamente di tutto questo, esprime l’interesse del medico al problema, insieme alla sua volontà di "capire per porvi rimedio" e getta le basi per un’alleanza strategica, che risulta già di per sé terapeutica. È evidente come sia più facile per il medico prefigurasi l’esperienza soggettiva del vissuto del dolore se il paziente è in grado di esprimersi, ma sono molte le difficoltà da affrontare per ottenere una comprensione adeguata del sintomo nei soggetti in cui ci siano difficoltà di verbalizzazione, dovute ad uno sviluppo ancora insufficiente, o per difficoltà o incapacità a comunicare. I bambini più grandi hanno mezzi più efficaci per comunicare il dolore, mentre i più piccoli non hanno la memoria di esperienze precedenti e la capacità di capire il significato dell’esperienza dolorosa. C’è quindi la necessità, nel comprendere e trattare questi piccoli pazienti, di andare oltre alla mera apparenza (valutando a priori quelle situazioni che possono essere potenzialmente dolorose) e di osservare con attenzione segni e sintomi non usuali, che possono fungere da spia e da guida per la valutazione della presenza di un dolore o di una sofferenza inespressa. C’è il bisogno di una comunicazione aperta e franca, con parole semplici e chiare sulla percezione del dolore, nei confronti del bambino e della sua famiglia, sia in ospedale che a casa del paziente. Bisogna spendere del tempo per capire con quali gesti, parole o verbalizzazioni il bambino esprime il dolore e a quali persone della famiglia ne parli più facilmente. È necessario tenere conto delle esperienze precedenti e delle aspettative relative al trattamento di questo sintomo. La valutazione dell’efficacia terapeutica deve essere fatta di frequente, ma deve tenere conto dei desideri del paziente e dalla famiglia a questo proposito.

È molto utile fare uso di scale visive per bambini al fine di indagare l’intensità del sintomo. Queste riducono i tempi del colloquio su un argomento spiacevole e risentono meno dell’influenza più o meno conscia dei famigliari sulla percezione del sintomo. Ci sono anche molto metodi non farmacologici per alleviare il dolore nei bambini, quali l’ipnosi, il massaggio terapeutico, la musica, la pittura, le immagini mentali; queste ultime sono una metodica dolce ma efficace per rendere meno angoscioso il dolore e l’approssimarsi della morte. Queste tecniche possono essere di conforto e sostegno durante la malattia; sono anche utili per il senso di autocontrollo e sicurezza che infondono al bambino in un momento in cui il controllo e la sicurezza sono molto scarsi. La valutazione del dolore deve essere fatta utilizzando strumenti adatti, preferibilmente direttamente con il piccolo paziente. In caso di mancata collaborazione, ci si può giovare, oltre che dell’osservazione comportamentale, della collaborazione dei familiari; deve essere chiaro, però, che la loro valutazione sarà sempre e comunque inesatta. Anche indicatori indiretti quali la frequenza cardiaca o respiratoria, la pressione arteriosa o la sudorazione, devono essere valutati con cautela in questo contesto, in quanto sono molti gli elementi ambientali stressanti che possono concorrere a influenzarli. Essi vanno quindi impiegati in appoggio ad altre metodiche di valutazione o insieme ad altri indicatori clinici. La valutazione del dolore dovrebbe avvenire, per quanto possibile in un ambiente familiare al bambino. E’ quindi preferibile che sia fatta, se la situazione lo consente, a casa e non in ospedale. Nessun metodo di indagine è di per sé in grado di fornire una valutazione completa del dolore. Il racconto fatto in prima persona dal piccolo paziente sembra essere tra tutti, per i bambini con età superiore a quattro anni e con capacità di verbalizzare, quello più efficace nel valutare l’intensità e la localizzazione. Raramente i bambini con tumore inventano il proprio dolore. È molto più frequente che essi tendano a ridurne l’entità o a rimuoverlo per paura di doversi sottoporre a trattamenti dolorosi per controllarlo.

La paura della terapia iniettiva, insieme alla convinzione che non ci sia niente fare, o l’intenzione di non procurare affanno ai genitori segnalando un’evoluzione della malattia, o il desiderio di comportarsi "bene" e di non "disturbare", sono alla base della minimizzazione o della negazione del dolore nel racconto di molti bambini. L’osservazione del comportamento è un elemento fondamentale della valutazione del dolore nei bambini che non parlano ancora, o che non possono parlare ed una valutazione aggiuntiva da farsi anche per quelli in grado di comunicare. Si deve prestare molta attenzione a grida, piagnucolii, lamenti, gemiti, come pure alla tensione muscolare, alla rigidità, alla possibilità di riuscire a consolare, ad atteggiamenti di "protezione-difesa" di determinate parti del corpo, al movimento e infine all’aspetto generale. L’interpretazione di tutti questi atteggiamenti non può, per ora, che essere approssimativa (e di seconda mano) in quanto mancano modelli validati. Molte risposte comportamentali, inoltre, non sono specifiche del dolore ma si manifestano anche in presenza, di ansia, paura, solitudine e disagio. È quindi fondamentale porre molta attenzione al contesto in cui vengono rilevati questi dati. La gestione del dolore in questi piccoli paziente è sempre il frutto di una alleanza terapeutica tra il bambino, la sua famiglia e l’équipe dei curanti. I desideri e le preferenze del bambino e dei suoi familiari devono essere indagati, rispettati e valutati con attenzione.

La terapia antalgica è spesso sottovalutata negli adulti; lo stesso trattamento, purtroppo, è riservato ai bambini. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i bambini ricevono nella pratica quotidiana dosi di analgesici proporzionalmente ancora più ridotte rispetto a quelle riservate agli adulti. Diversamente da quanto si pensa in genere, in base ad errate argomentazioni pseudoscientifiche, la percezione del dolore nel bambino è ben sviluppata, anzi amplificata a causa del rapido sviluppo delle vie sensitive eccitatorie: il bambino può essere troppo piccolo per lamentare dolore e per ribellarsi al suo stato di malessere. A sei mesi, infatti, il feto presenta già le vie sensitive del dolore formate ed attive; queste vie sono funzionali anche nei nati prematuri. La memoria conscia si sviluppa verso i due anni, ma ciò non implica che nei primi mesi di vita il neonato sia incapace di provare dolore.

Nelle terapie oncologiche, le numerose manovre invasive che si devono attuare, come punture lombari e biopsie ossee, dovrebbero essere accompagnate da adeguata terapia antalgica. Per superare la paura delle iniezioni o di piccoli interventi chirurgici sono in commercio pomate anestetizzanti — (ndr: EMLA, Eutectic Mixture of Local Anesthetics, topical lidocain-prilocaine cream 5%) e sarebbe bene che venissero usate con maggiore frequenza visto la loro dimostrata efficacia analgesica. La terapia antalgica è opportuna nella circoncisione, nel varicocele, nel risveglio post-operatorio, nella preparazione di un intervento chirurgico. Molto frequentemente invece, nel bambino non viene praticata.

Un recente editoriale apparso sul BMJ dal significativo titolo "Il controllo del dolore nel bambino. Fare le cose semplici meglio" sottolinea come, negli ultimi decenni, siano stati fatti notevoli passi per la comprensione e trattamento del dolore in età pediatrica, nonostante esista il problema di una rilevazione oggettiva dell’intensità del sintomo. Una cosa però è certa, al di là di ogni ragionevole dubbio: gli operatori sanitari tendono a sottostimare in modo significativo il dolore in questi piccoli pazienti. Sono stati sperimentati e applicati metodi sofisticati per la gestione del dolore in questi soggetti, che sono risultati efficaci in ambiente specialistico.

L’obiettivo più importante, però, nella cura questi pazienti, è quello di ottimizzare l’uso di analgesici semplici che possano essere usati facilmente su larga scala da familiari e medici di famiglia. Un passo avanti su questa strada è stato il recente riconoscimento che il più semplice e il più utile degli analgesici, il paracetamolo, è stato usato in passato a dosaggi subterapeutici. Il dosaggio raccomandato in precedenza (10 mg/kg quattro volte al giorno) non permetteva di raggiungere concentrazioni ematiche terapeutiche. Dati recenti di farmacocinetica suggeriscono che può essere necessaria una dose iniziale di carico di 40 mg/kg per via rettale. Il dosaggio massimo giornaliero nel bambino rimane invece controverso. Sta diventando largamente accettata, come limite massimo, la dose di 90 mg/kg al giorno con una dose di carico di 30 mg/kg. Invece dosi superiori a 150 mg/kg al dì causano tossicità epatica severa e vanno evitate. È evidente come anche per questi piccoli pazienti la limitazione imposta dal dosaggio massimo somministrabile di paracetamolo, senza incorrere in effetti tossici, ha stimolato l’attenzione al suo uso in associazione con oppiacei deboli quali la codeina, dimostrando una maggiore efficacia analgesica dell’associazione. Parimenti si è data maggior attenzione all’impiego nel trattamento di FANS. L’ibuprofene e il diclofenac sono stati studiati nei bambini, in particolare dopo interventi chirurgici, e hanno dimostrato una buona efficacia analgesica e minori effetti collaterali di analgesici più potenti.

Anche nei bambini, quando è possibile, gli oppiacei impiegati per il controllo del dolore grave, andrebbero somministrati per via orale (vedi Tabella I). Il trattamento del dolore severo in fase di acuzie necessita di una rapida titolazione dei dosaggi analgesici per ottenere un controllo del sintomo nel giro di poche ore. Per fare questo bisogna eseguire frequenti aggiustamenti posologici. Poiché la morfina somministrata per via endovenosa ha un picco di efficacia a 15 minuti dalla sua iniezione in vena, per un paziente di cui non si conosce il dosaggio di farmaco necessario al controllo del dolore si può iniziare ad infondere morfina alla dose di 0,1 mg/kg e controllarne il risultato ogni 15 minuti. Si potrà quindi incrementare il dosaggio di 0,05 mg/kg, ad intervalli regolari, in caso di mancata efficacia fino al raggiungimento di un buon controllo del dolore. La morfina può anche essere somministrata a boli intermittenti secondo uno schema prefissato partendo da un dosaggio iniziale di 0,1 mg/kg. Anche l’infusione continua di morfina a dosi da 0,02 a 0,04 mg/kg all’ora, nei bambini sopra i 6 mesi di età, è stata ben studiata per il trattamento del dolore postoperatorio e descritta nel trattamento del dolore neoplastico. È evidente che l’infusione continua del farmaco evita il rischio delle notevoli variazioni di concentrazione ematica e quindi di efficacia dovute alla sua somministrazione intermittente. Il farmaco giusto è quello che controlla con dosi adeguate il dolore del paziente.

Negli adolescenti, l’analgesia autocontrollata (PCA, patient controlled analgesia) sembra efficace nel controllo del dolore, in particolare quello postchirurgico. Si utilizzano apparecchi specifici programmati per somministrare dosi prestabilite di analgesico richieste dallo stesso paziente e seguite da un periodo di blocco (lock-out), durante il quale la pompa per infusione non può essere riattivata. È un metodo accettato dagli adolescenti, i quali, a quella età, aspirano alla propria indipendenza nella gestione della loro esistenza e della loro malattia. Si può associare l’uso della PCA alla neuromodulazione spinale epidurale.

È tempo quindi di modificare il luogo comune che la terapia antalgica, ed in particolare i farmaci ad azione centrale come gli oppiacei, possano rendere dipendenti dalla droga i bambini. Solo cambiando questa mentalità potremo essere sicuri che il dolore, in particolare quello severo, sarà trattato in modo efficace anche in questi piccoli pazienti.

Tabella 1. Dosi orali di morfina nel bambino
Età (anni) mg pro dose mg pro die
2-5 2,5 – 5 mg 15-30 mg
6-12 5 – 10 30 – 60
13-16 10 - 20 60 – 120
> 16 10 – 60 fino a 360 mg
Se formulazione retard:
>16 anni     30 – 60 mg   fino a 180 mg

Bibliografia

1. Schmidt, M. "Morphin-pflanzlich, hilfreich, unheimlich". PTA heute, 10, 967-72, 1997
2. Zacharias, M., Watts, D. "Pain relief in children". BMJ, 316, 1552-1560, 1998
3. Clinical Practice Guideline, "Management of Cancer Pain, U.S. Department of Health and Human Service, Public Health Service", Agency for Health Care Policy and Research, 1994