Dopo un primo riferimento di legge a
"protocolli sanitari nel DPR del 1981, dedicato al Management della spesa sanitaria,
e in altri due decreti del Ministero della Sanità, del 1984 e del 1995, destinati agli
esami di laboratorio e strumentali in gravidanza, è con la Legge finanziaria del 1996 che
il Parlamento torna a parlare di "percorsi" diagnostico-terapeutici, legati al
rispetto dei tetti di spesa, senza peraltro fare riferimento alle linee guida, ma
ricorrendo ancora una volta al termine "protocolli".
"I medici abilitati alle funzioni prescrittive recita infatti il comma 28 dellart.
I della legge conformano le proprie autonome decisioni tecniche a percorsi
diagnostici e terapeutici, cooperando in tal modo al rispetto degli obbiettivi di
spesa".
Questo articolo è un capolavoro di ambiguità e di indeterminatezza perché riferendosi a
"medici abilitati alle prescrizioni" non distingue eventuali standardizzazioni e
omogeneizzazioni delle procedure e dei comportamenti sanitari allinterno dei reparti
ospedalieri, dalle prescrizioni dei medici del territorio destinate al paziente in
condizioni di non degenza, né fa alcun accenno alla indispensabile integrazione tra
ospedale e territorio.
Luso indifferenziato che il legislatore fa dei termini protocollo, percorso
diagnostico-terapeutico e linee guida (queste ultime citate esplicitamente soltanto nel
decreto del 1997 per la applicazione della normativa sullaccreditamento) se da un
lato parrebbe tradire una certa confusione semantica tra termini che non hanno lo stesso
peso nei confronti delle "autonome" decisioni del medico, dallaltro rivela
invece chiaramente le intenzioni coercitive dello stesso legislatore intenzionato ad
immolare sullaltare delle risorse qualunque comportamento che a quella esigenza di
risparmio non si "conformi", indipendentemente dal nome.
Quale altro significato può infatti avere una legge che recita: "Il Ministro della
sanità stabilisce, dintesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni (
) gli
indirizzi per luniforme applicazione dei percorsi stessi in ambito locale e le
misure da adottare nel caso di mancato rispetto dei protocolli,
ivi comprese le sanzioni a carico del sanitario che si discosti dal percorso
diagnostico-terapeutico senza giustificati motivi"?
"Tra breve, hanno osservato giustamente A. Donzelli e D. Seghedoni (I), la pressione
a livello ministeriale e regionale per ladozione "ufficiale" di Linee
Guida, se non addirittura di protocolli diagnostico-terapeutici, potrebbe diventare
insostenibile e le suddette Autorità Sanitarie potranno essere indotte ad assumere
provvedimenti anche senza che se ne sia scientificamente valutato limpatto
complessivo sul sistema sanitario".Non vi è dubbio che la trasformazione, avvenuta in questi ultimi
decenni nella assistenza sanitaria per cui da un modello tradizionale di erogazione delle
cure affidate ad un medico unico ed autonomo siamo passati ad una struttura nella quale
sono coinvolte professionalità, tecnologie e variabili logistico-organizzative diverse.
Ciò postula la esigenza di una rivisitazione culturale del nostro modo di operare, ma
essa non si aiuta con questi atteggiamenti.
Non ci stancheremo mai di ricordare che un protocollo corrisponde ad un
documento contenente una predefinizione delle azioni da compiere da parte dei ricercatori,
obbligati a fissare in un razionale di ricerca le regole e gli obbiettivi condivisi per
poter confrontare e verificare la validità o meno di una ipotesi scientifica, che un
percorso diagnostico-terapeutico è una sequenza temporale ottimale di
prestazioni e interventi forniti da professionisti, con differenti competenze e abilità,
ad un paziente affetto da una patologia complessa in una determinata realtà
assistenziale, e che infine le Linee Guida attengono più ad unarte
medica che aspira a divenire scienza, che ad una scienza vera e propria. Esse infatti
rappresentano raccomandazioni (spesso diverse e contrastanti) e ausili scientifici
generali per il medico, dedicate a malattie frequenti e rilevanti, realizzate nel
confronto tra esperti e professionisti con il supporto della letteratura internazionale,
allo scopo di aiutarlo a scegliere le soluzioni più efficaci ed appropriate per risolvere
i "problemi" di "un" paziente.
Insistere, come paiono volere il Ministero
della Sanità e le Regioni, con ladozione di protocolli vincolanti per il medico
significa soltanto provocare ed alimentare la reazione di rigetto che coglie il medico
ogni volta che si attenta alla sua autonomia e indipendenza professionale, imponendogli
per legge di trasformare la tradizionale medicina delle opinioni e delle esperienze
personali in medicina delle certezze.
È vero che non esiste Servizio Sanitario nel quale, o attraverso la compartecipazione
alla spesa del cittadino o attraverso la riduzione della offerta di servizi e prestazioni
pubbliche, non si tenti di intervenire sul razionamento della spesa, ma quello di
obbligare i medici a comportamenti che non hanno concordato, e che i cittadini non
comprendono, mi pare il peggiore di tutti.
Per antica tradizione infatti i primi sono stati educati secondo il principio di
beneficialità: "fai tutto il possibile per il paziente che si affida alle tue
cure" ed i secondi non rinunciano a sostenere che per la salute "quello che ci
va ci vuole", compresa la consolazione di interventi non efficaci, a spese della
collettività, come ha dimostrato ampiamente la vicenda Di Bella.
In un Sistema Sanitario prevalentemente
pubblico e ad impostazione universalistica come il nostro (migliore, nonostante i tanti
difetti e le troppe disfunzioni, di quelli regolati dal mercato che seleziona i cittadini
per censo o affida ai vincoli dei contratti assicurativi i livelli di assistenza)
coniugare equità e solidarietà con la scarsità delle risorse significa tuttavia
raggiungere nel nostro Paese un patto sociale che solo una grande maturità civica,
culturale, politica e sanitaria diffusa può garantire.
Laccesso a risorse inevitabilmente scarse per la tutela della salute, perché una
offerta crescente influenza una domanda altrettanto esponenziale, è o dovrebbe essere,
determinato dai bisogni prioritari della popolazione, sui quali fondare la programmazione
e lequilibrio del sistema.
Ma se programmare ed allocare risorse significa scegliere politicamente gli obbiettivi di
salute e definire lentità delle prestazioni essenziali per tutti quali sono i
criteri che presiedono a questa scelta? (2)
Quelli proposti dagli economisti, ad orientamento utilitarista (ricerca
del massimo beneficio per il maggior numero possibile di persone) che assicurano
efficienza allocativa, ma non equità, e creano problemi non indifferenti di
accettabilità etica, come dimostrano le esperienze di alcuni Paesi nei quali hanno
prevalso le loro tesi?
Neanche i clinici e gli
epidemiologici, fautori della "medicina basata sulle prove di efficacia"
e di produzione di linee guida, quale riferimento per la allocazione delle risorse, sono
esenti da critiche.
Intanto perché sussistono tuttora molte incertezze ed insufficienze nelle conoscenze
scientifiche, e poi perché molti medici sono convinti che spetti al professionista la
scelta se un trattamento sia o no efficace per il "suo" paziente e che la
valutazione se un determinato trattamento corrisponda o no ad un uso efficiente di fondi
pubblici interessa alla politica e non a loro.
Questo dialogo tra sordi è un nodo decisivo e un circolo vizioso esiziale, per il futuro
della assistenza sanitaria nel nostro Paese: medici che rifiutano di coinvolgersi nella
realtà del razionamento, ritenendolo un problema squisitamente politico, e politici che
piuttosto che cercare di rendere la professione più responsabile e di accettare la
inevitabilità di lasciare le decisioni di razionamento alla capacità e volontà del
giudizio clinico promulgano leggi coercitive e minacciose.
Per usare la metafora di un noto accademico inglese: finché ci preoccuperemo di preparare
un accurato menù per il ristorante SSN, e non ci preoccuperemo di cosa fanno i cuochi in
cucina difficilmente si avranno buoni pranzi!
E infine il problema dei cittadini
da coinvolgere nelle decisioni allocative. A questo proposito, fatto salvo il principio
del loro diritto ad essere consultati, non possiamo esimerci dal rilevare due problemi: il
primo è con quali strumenti si individuano le loro reali rappresentanze, sfuggendo al
pericolo delle strumentalizzazioni e della emarginazione delle minoranze più deboli, ed
il secondo è come si possano prendere decisioni responsabili in un clima di ripetute
promulgazioni di "diritto" alla autodeterminazione del cittadino nei confronti
delle cure, sostenuto da autorevoli esponenti di partito e influenzato da messaggi
consumistici e dalla "dittatura della disinformazione" gabellata dai massmedia
per educazione sanitaria.
Dal 1996 ad oggi abbiamo assistito ad una
incredibile fioritura di linee guida!
Le danze furono aperte dal Dipartimento per la Programmazione sanitaria, incaricato dal
Ministero della Sanità di chiedere ad alcune società scientifiche di raccogliere il
materiale eventualmente prodotto negli anni precedenti e di elaborare proposte per la
definizione di un modello per la produzione di linee guida. Successivamente fu incaricato
lIstituto Superiore di Sanità di elaborare le linee guida, in collaborazione con le
società scientifiche già contattate, riservando alla Programmazione la funzione di
coordinamento e di gestione degli aspetti istruttori in vista della stesura dei
provvedimenti legislativi. (SIC!)
Tutto questo in coerenza con la legge che, a proposito dei soggetti chiamati ad
"individuare e adeguare sistematicamente tali percorsi", li indicava nel
Ministro della Sanità che si sarebbe avvalso dellIstituto Superiore di Sanità,
sentite la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici-Chirurgici e Odontoiatri e le
società scientifiche interessate, e dopo aver acquisito il parere del Consiglio Superiore
di Sanità.
Questa procedura ha estraniato decisamente lorgano di rappresentanza pubblica della
professione attiva dalla stesura delle linee-guida/percorsi, lo ha equiparato ad
organizzazioni private scelte discrezionalmente, e ha rivelato la volontà esplicita del
Legislatore di realizzare veri protocolli di stato!
Sorprende che il Ministro della Sanità dellepoca fosse un medico colto, profondo
conoscitore dei problemi della organizzazione sanitaria, e soprattutto con una esperienza
diretta e vissuta degli atteggiamenti e degli umori dei medici italiani.
Parallelamente numerosi soggetti (altre società scientifiche, ordini dei medici, istituti
di ricerca, commissioni locali, miste formate da ospedalieri e medici generali e agenzie
regionali) hanno elaborato e diffuso linee-guida autonome, sulla base delle proprie
esigenze e metodologie che hanno maggiore probabilità di essere applicate.
Sulle linee guida esiste una vasta letteratura internazionale frutto delle diverse
esperienze compiute in paesi come gli Stati Uniti, il Canada, la Svizzera, la Francia, la
Germania, il Regno Unito e la Nuova Zelanda, e il dibattito è ancora aperto.
Le fonti di finanziamento, la composizione dei gruppi di lavoro, le strategie di ricerca e
di valutazione della letteratura scientifica, se le linee guida debbano essere centrali o
locali, i limiti della loro efficacia se la loro trasmissione non si accompagna a
iniziative di formazione, gli interrogativi sulla loro applicabilità se rivolte alla
pratica clinica destinata al singolo individuo, la influenza delle linee guida sulle
responsabilità civili e penali del medico, e le diverse tipologie di linee guida sono
soltanto alcuni dei temi affrontati e controversi a livello internazionale. (3)
Nel nostro Paese si sono fatte soltanto le
leggi!
Come può la FNOMCeO essere soltanto sentita a cose fatte quando la introduzione di linee
guida ha un impatto dirompente sul ruolo tradizionale del medico (e sulla formazione che
le facoltà mediche gli hanno dato fin qui) e si propone il compito arduo di realizzare la
ottimizzazione dellimpiego delle risorse?
La FNOMCeO non è una istituzione tecnico-scientifica ma un organo di autogoverno della
professione, riconosciuto dalle leggi dello Stato, garante della qualità delle
prestazioni professionali dei medici a tutela della salute dei cittadini. Come si può
pensare di relegarla ad un ruolo di spettatore passivo nel momento in cui ci si propone di
conciliare lautonomia professionale con accettazione di comportamenti professionali
uniformi?
Si deve prendere atto realisticamente che un cambiamento culturale così profondo di
attitudini, consuetudini, valori, attese e competenze consolidate non si ottiene ope legis
ma attraverso unopera paziente di persuasione e di collaborazione che, prendendo le
mosse dalla formazione di base universitaria, complementare e specialistica, raggiunga
parallelamente tutti o la maggior parte dei medici in attività.
Le linee guida sono ormai una esigenza ineludibile per un medico che voglia orientarsi per
le sue scelte cliniche attraverso le migliaia di notizie, non selezionate, di incerto
utilizzo o distorte per motivi promozionali.
Esse possono rappresentare un prezioso strumento di autovalutazione ed un importante
ancoraggio per una professione sempre più dominata dalla incertezza e dalla variabilità
delle soluzioni tecniche possibili da adottare di fronte ad uno stesso tipo di problemi.
Nella triangolazione dei rapporti tra medico, amministratori pubblici e cittadini
aumentano poi a dismisura le responsabilità del professionista, costretto a confrontarsi
quotidianamente con le aspettative crescenti del cittadino-utente, con le richieste di
risparmio avanzate dagli amministratori pubblici, e con una maggiore severità dei
giudici. (4)
Le linee guida non possono essere né impositive ne vincolanti, ma flessibili e
utilizzabili nella pratica, se vogliono divenire un patrimonio dei medici.
Per questo non possono che originare allinterno della professione attiva, con il
contributo di società scientifiche accreditate sulla base di requisiti certificati, non
nelle stanze dei funzionari ministeriali gratificati dalla attenzione loro riservata da
eminenti scienziati.
In Olanda linee guida, non prescrittive, sono state affidate interamente ai medici di
famiglia e oltre il 90% di essi le considera un prezioso supporto per le proprie
decisioni.
In Italia per la preparazione di alcune linee guida si è dato incarico a singoli
cattedratici, riconosciuti esperti in una patologia, perché distillassero per tutti i
medici il loro prezioso sapere.
In Nuova Zelanda per ridurre le liste di attesa negli interventi chirurgici di elezione
(cataratta, by-pass coronarico, protesi danca e del ginocchio, colecistectomia e
timpanostomia) si sono costituiti prima gruppi professionali, composti da specialisti e
medici di famiglia, e poi si sono consultati tutti gli esperti della branca per ottenerne
il consenso.
Da oltre 20 anni canadesi e americani studiano lefficacia scientifica dimostrata di
quegli interventi. (5) È mai possibile che nel nostro Paese, con un Piano sanitario
dedicato prevalentemente alla prevenzione, non si possano prendere iniziative analoghe pur
tenendo conto delle particolarità epidemiologiche, della fattibilità e accettabilità di
quelle misure nel nostro contesto?
Molte delle linee guida, prodotte sin qui in ambito extraprofessionale, sono
inutilizzabili nella pratica quotidiana del medico, nonostante che montagne di carta
abbiano invaso gli uffici ministeriali.
È prevedibile che quando (e se) diverranno "ufficiali", con limprimatur
ministeriale, si avranno due risultati: il totale disinteresse della maggior parte dei
medici che dovrebbero adottarle, o una loro acritica applicazione, dettata da
atteggiamenti "difensivi" in vista di possibili sanzioni, da parte di alcuni.
In un caso o nellaltro non diminuirà la spesa sanitaria (è probabile che aumenti)
ed avremo perduto una buona occasione per migliorare la qualità della professione e della
assistenza.
(Relazione tenuta a Perugia al
Convegno: "Regole e libertà di cura: implicazioni sociali professionali e medico
legali nelle linee guida" - 27-28 Marzo 1998).
Bibliografia
1. A. Donzelli, D. Seghedoni:
"Le linee guida cliniche tra conoscenza, etica e interessi - Avvertenze per luso".
F. Angeli, 1988
2. A. Stefanini: "Il razionamento in Sanità, in Salute e territorio".
n.104,1997
3. G. Maciocco: "Guida per i medici o medici in linea, in Salute e Territorio",
n.104, 1997 (Monografia: Le linee guida in sanità)
4. R. Giannini: "Gli aspetti medico-legali, in Salute e Territorio", n.104,1997
(Monografia: Le linee guida in Sanità)
5. I. Cassis: "I riferimenti nella prevenzione, in Salute e Territorio",
n.104,1997 (Monografia: Le linee guida in sanità) |