La multidisciplinarietà dellapproccio
e lorganizzazione territoriale dei servizi La
dimensione così complessa della sofferenza del malato neoplastico e la estrema varietà,
difformità e peculiarità dei bisogni, porta alla necessità, in questo caso pressante,
di costituire intorno al paziente una rete di soggetti e di strumenti che sia
sufficientemente duttile, robusta ed efficace, per contenere e soddisfare le necessità
che di volta in volta si presentano allattenzione dei curanti.
In questa situazione diventa preminente o forse indispensabile per ottenere un risultato
positivo, la capacità non solo di lavorare, ma anche quella di progettare in gruppo. In
questa logica la dimensione del Medico Generale solo con i suoi pazienti, che è stata ed
è ancora in molte realtà la norma, deve lasciare il posto alla coscienza della
necessità di un confronto e di una progettualità tra pari, che veda ciascuno di noi
impegnato a costruire, con gli strumenti messi al nostro servizio dalla Convenzione, una
offerta di servizi e di prestazione multivariate ed integrate.
La forza della categoria sta proprio nella capacità/volontà di riuscire a fare questo
salto professionale, che permetta di offrire ai nostri assistiti prestazioni e risultati
sempre più efficaci. Solo con la messa in comune di esperienze e professionalità
diverse, insieme al confronto di modalità e percorsi di lavoro, si potrà arrivare a
perfezionare il servizio di assistenza domiciliare al malato terminale, disegnando ed
attuando così uno strumento che sia realmente efficace.
Per fare questo sarà necessario però che il concetto di territorialità dei servizi e
delle prestazioni, recepito ormai in molte Regioni e sostanziato da circolari e leggi
regionali di indirizzo, non finisca come altre volte per diventare lettera morta, ma venga
recepito dai direttori generali delle singole Aziende come un obiettivo prioritario per
creare unassistenza più efficace e più umana al malato, nel rispetto del suo
ambiente di vita e dei suoi bisogni.
Anche in questo caso il nostro ruolo va ben al di là di quello di mera attuazione di
linee di indirizzo, ma diventa preminente nel suggerire, proporre, richiedere e stimolare
le singole Aziende a promuovere la realizzazione di servizi efficienti di assistenza
territoriale al malato terminale, provvedendo a reperire le figure professionali
indispensabili alla loro attuazione. |
Formazione e percezione dello stimolo
Il sistema di percezione e riconoscimento del dolore che va sotto il nome di Pain System
è da un punto di vista anatomo-fisiologico un sistema complesso e multintegrato che non
fornisce risposte "lineari" stimolo-percezione.
È caratteristica intrinseca della percezione dellinformazione dolore quella di
presentare la possibilità di essere modulata a più livelli durante la sua diffusione. Il
sistema risulta composto da stazioni intermedie progressivamente ascenti alla corteccia
che presentano la possibilità di modulare o semplicemente di trasportare limpulso. Anatomicamente risulta composto in modo schematico dalle seguenti
strutture:
recettore periferico
neurone spinale
corno posteriore del midollo spinale (zona di modulazione)
sistemi spino-talamici ascendenti
sostanza reticolare
sistema limbico
aree di proiezione talamo-corticali S1 S2.
Dal punto di vista funzionale il Pain System si articola
in tre sottosistemi a proiezione diffusa con specifiche attività neurormonali che sono:
il sistema periferico di trasporto o afferente che si occupa di condurre
gli impulsi nocicettivi dalla periferia al centro;
il sistema di modulazione che produce la modifica dellintensità
degli stimoli trasmessi esercitando una riduzione di ampiezza degli stimoli nocicettivi
attraverso lattivazione di sistemi inibitori;
il sistema di riconoscimento che decodifica e interpreta linformazione
pervenuta e predispone le strategie di risposta siano esse motorie, neurovegetative
endocrine od emotive. |
Il sistema periferico di trasporto
Seppur esista ancora qualche residua controversia tra i sostenitori della teoria
"intensiva" o "pattern" e quelli della specificità recettoriale
(azione di determinate sostanze su specifici recettori con provocazione di dolore), la
posizione più condivisa attualmente risulta essere quella che vede il recettore non come
una struttura statica bensì dinamica modulabile per via meccanica, chimica e
nervoriflessiva capace di risposte solo tutto o nulla.
Tabella
1.Principali mediatori del dolore
|
Bradichinine
Ioni K+
Prostacicline
Serotonina |
Ioni H+
Istamina
Prostaglandine
Sostanza P |
Lelemento che produce lo stimolo induce nel
tessuto in cui è presente il recettore la liberazione di mediatori (vedi Tab.1) che
determinano unalterazione dello stato elettrico della membrana del recettore
(depolarizzazione), che è il fenomeno che dà lavvio a cascata al processo di
percezione del dolore. Limpulso doloroso si diffonde così dal recettore, per mezzo
di fibre sensitive afferenti di diverso tipo, al ganglio spinale e attraverso il
prolugamento centripeto di questultimo raggiunge il corno posteriore del midollo
spinale. |
Il sistema di modulazione
La modulazione dellimpulso doloroso avviene sostanzialmente in due punti anatomici
principali:
a livello del corno midollare posteriore: dove si verifica il fenomeno di
attenuazione dellampiezza degli stimoli nocicettivi ad operare del cosiddetto
interneurone inibitore ("teoria del cancello") e dove si proiettano gli impulsi
corticospinali inibitori;
a livello del talamo: struttura deputata alla decodificazione dellimpulso
nocicettivo che è anche la stazione di proiezione/diffusione di efferenze riverberanti
centrali a partenza dalla zona limbica e dalla sostanza reticolare. |
Il corno midollare posteriore
In questa struttura è ipotizzata la presenza di una stazione fondamentale di integrazione
per la modulazione del fenomeno doloroso. È questa infatti la sede proposta già fin dal
1965 da Melzack e Wall per sostanziare la loro teoria del cancello ("gate
control") che ipotizza a livello della sostanza gelatinosa del corno posteriore e in
particolare prevalentemente a carico delle lamine I,II; V, la presenza di un centro
integrato di modulazione dello stimolo nocicettivo.
Questa teoria perfezionata nel decennio successivo si sostanzia nellassunto che lo
stimolo doloroso formatosi in periferia subisce in questa sede una modificazione di
intensità ad opera di un interneurone inibitorio localizzato appunto in questa sede (vedi
Fig. 2). Esso agisce con unazione di interferenza inibitoria fasica sulla
trasmissione dellimpulso nocicettivo a livello del fascio spino-talamico che è
funzione sia della modulazione dello stimolo ad opera di fibre discendenti talamo-spinali
e sia delle informazioni provenienti dalla periferia ad opere di due differenti sistemi di
conduzioni. Le fibre che portano linformazione
dolorosa dal recettore periferico alla successiva stazione midollare si dividono
sostanzialmente in:
fibre ad elevata velocità di conduzione, mieliniche, morfologicamente di
diametro maggiore, che portano una informazione più mirata e specifica (fibre Að);
fibre a lenta velocità di conduzione, amieliniche, morfologicamente di
diametro inferiore alle precedenti che portano invece uninformazione più generica,
sfumata e diffusa (fibre C).
Linterneurone che ha solo possibilità di
modulazione inibitoria dello stimolo, non trasmette alcun impulso in questo senso al
neurone del fascio spino-talamico ascendente in fase di riposo, lasciando così di base
aperta la "porta" al passaggi di impulsi sensoriali periferici.
In caso di stimolazione recettoriale periferica con formazione e trasmissione di un
impulso nocicettivo la sua trasmissione al corno posteriore avviene prima attraverso le
fibre mieliniche a rapida velocità di conduzione che trovano il "cancello"
aperto e quindi trasmettono inizialmente limpulso alle fibre afferenti del fascio
spino-talamico ascendente senza che questo subisca alcuna modificazione.
Questa informazione nel trasferirsi alle stazioni superiori di controllo e di
decodificazione stimola, parallelamente al suo passaggio, linterneurone inibitorio
che attua immediatamente unazione di riduzione delle afferenze nocicettive
("chiusura del cancello"). La seconda parte dellinformazione dolorosa
trasmessa questa volta dalle fibre amieliniche più lente e che giunge quindi sulla
stazione di modulazione con un lieve ritardo rispetto alla precedente, si trova così, per
questo fenomeno inibitorio, ad essere trasmessa in misura inferiore per la modulazione
difettiva operata dallinterneurone midollare.
Questa sequenza è valida in caso di stimoli di intensità medio-bassa, perché invece in
presenza di stimolo nocicettivo di intensità elevata o ripetuto a breve distanza
temporale si determina una riduzione della modulazione inibitoria operata dallinterneurone
con conseguente passaggio dello stimolo eccitatorio doloroso condotto dalle fibre
amieliniche, che va a sommarsi con quello condotto dalle fibre mieliniche aumentando così
il numero e lintensità delle informazioni dolorose che percorrono il fascio
spino-talamico ascendente.
È quindi la modifica dellequilibrio della conduzione degli impulsi tra fibre
mieliniche e amieliniche a determinare lapertura o la chiusura del cancello. Se
prevale lintensità del secondo impulso ritardato amielinico (fibre C) si ha una
riduzione dellazione inibitrice interneuronale e si apre il cancello, viceversa se a
prevalere sono gli impulsi precoci a conduzione mielinica (fibre Að) la porta si chiude
riducendo così di conseguenza la trasmissione degli impulsi nocicettici ai sistemi di
trasmissione neuronali alle stazioni superiori (fasci ascendenti spinotalamici).
La riapertura del cancello determinata dal protrarsi di uno stimolo doloroso intenso,
costituisce in pratica da una parte un elemento di difesa attuato dallorganismo per
mettere in funzione meccanismi di controllo/evitamento, ma è dallaltra la base per
linsorgenza di quei fenomeni che vanno a determinare quella che viene definita
sofferenza psichica collegata al sintomo doloroso.
Linformazione dolorosa raccolta alla periferia dal recettore in qualsiasi parte dellorganismo
viene così trasportata al midollo e da qui ai centri superiori in gran parte attraverso
due vie che rappresentano la parte laterale e mediale del sistema spino-talamico. Esse
formano rispettivamente:
il sistema neo-spino-talamico, di derivazione filogeneticamente più
recente, deputato alla trasmissione di informazioni nocicettive specifiche e definite
spazialmente che incrocia a livello midollare prima di ascendere proiettandosi con poche
sinapsi ai nuclei ventrali posterolaterali del talamo;
il sistema paleo-spino-talamico, di derivazione filogeneticamente più
antica, deputato invece alla percezione della sensazione dolorosa meno discriminata e più
diffusa, polisinaptico e interconnesso con i sistemi di trasmissione delle strutture
vicine, che proietta oltre che ai nuclei inferolaterali del talamo al sistema limbico e a
numerose aree encefaliche.
Alla modulazione dello stimolo nocicettico a livello midollare si aggiunge un ulteriore
meccanismo di integrazione del segnale rappresentato dalle modulazioni discendenti dei
sistemi cortico-talamo-spinali.
Risulta infine utile chiarire che, se nella fisiologia classica le vie ascendenti di
trasmissione si ritenevano funzionalmente separate, prevale ora a questo proposito una
visione meno statica e sicuramente più vicina alla fisiologia reale. Essa ritiene che linformazione
sensitiva proceda in modo modulato e integrato fino ai centri encefalici superiori e che
esista inoltre unintegrazione della stessa con le efferenze discendenti a
modulazione inibitoria che producono sinapsi diffuse sul percorso ascensionale di
trasmissione dello stimolo. |
Il sistema di riconoscimento
Al sistema talamico spetta il compito di decodificare linformazione
dolorosa e di produrre lintegrazione tra le varie strutture cerebrali che
partecipano alla sua percezione. È proprio dai nuclei del talamo che partono infatti le
proiezioni attraverso cui limpulso nocicettivo, modificato e modulato opportunamente
dalle afferenze limbiche e ipotalamo-reticolari, raggiunge le aree somato-sensoriali S1 S2, in cui si
rappresenterà per il soggetto la completa conoscenza del fenomeno doloroso.
La peculiarità della stazione talamica sta proprio nel fatto di produrre anche una
riverberazione del segnale doloroso sia alle strutture reticolari che limbiche,
responsabili queste ultime dellelaborazione psico-emozionale del segnale. Sono
infatti due i fenomeni che limpulso nocicettivo produce stimolando a cascata anche
queste zone: il vissuto emotivo di sofferenza e di disagio collegato allesperienza
dolore e linstaurarsi di uno stato ansioso depressivo che connota e caratterizza il
fenomeno del dolore cronico (dolore malattia), che accentua la sgradevolezza della
percezione sintomatologica a parità di segnale. |
Il sistema endogeno di controllo del dolore
Lesistenza di sostanze ad azione
morfino-simile, prodotte dallorganismo stesso, che vanno sotto il nome di oppiodi
endogeni e dei loro recettori specifici, ha fatto seguito allo sviluppo della ricerca in
questo settore avviatasi già nel lontano 1975. Sono così state progressivamente
individuate e studiate numerose sostanze di natura polipeptidica che sono raggrupate nelle
due famiglie prinicipali delle Encefaline e Endorfine.
Parallelamente sono stati definiti e caratterizzati i recettori endorfinici di cui i
principali, codificati con le lettere dellalfabeto greco, sono: µ (mu), ð (delta)
e k (cappa). A questi recettori sono legati specifici effetti biologici e psicologici che
sono: lanalgesia dovuta allinterazione con i recettori µ e
ð, la depressione del respiro a quella con i recettori k ed infine la
disforia di prevalente competenza del recettore ð.
Questo tipo di sostanze sono particolarmente concentrate a livello encefalico nella zona
periduttale, a livello midollare, nei gangli del sistema simpatico ed infine nella
midollare della surrenale e nellapparato digerente (responsabili quindi anche della
modulazione dei fenomeni neurovegetativi e di motilità gastrointestinale legati allo
stato di allerta che si associa alla percezione dolorosa). La loro produzione è
incrementata dalla secrezione di ACTH, mentre è drammaticamente ridotta, per elevato
consumo, in presenza di stati ansiosi o depressivi.
La funzione caratteristica degli oppiodi endogeni sembra essere quella di sistema
integrato di neuromodulazione centrale. Esso serve infatti a produrre un controllo
inbitorio lungo le vie di trasmissione, prevalentemente sugli impulsi ascendenti di natura
nocicettiva. Questo avviene sia a livello del corno posteriore midollare, che in altre
stazioni del sistema nervoso centrale, attraverso sistemi discendenti serotoninergici e
adrenergici ad azione di blocco sullinformazione ascendente.
Dalla scoperta di questo eco-sistema analgesico endogeno ha preso il via lipotesi
che vede la percezione del dolore come lespressione di un equilibrio dinamico, con
opposto effetto, tra stimolazione nocicettiva dei recettori del dolore e dei recettori
endorfinici. È in questa logica che si viene a definire il concetto di soglia del dolore
individuale, che ha caratteristiche peculiari per ciascuno ed è soggetta ad essere
variabile e fluttuante con la situazione di equilibrio psico-fisico del paziente.
Non va quindi dimenticato come alla luce di queste considerazioni il dolore rappresenti
sempre il frutto di unalterazione dellequilibrio dinamico tra i due sistemi
contrapposti, dovuto ad un aumento delle afferenze nocicettive o ad una riduzione delleffetto
protettivo endorfinico o ad una combinazione dei due effetti (Fig. 3). |
Lintervento del medico di fronte al dolore (come fare e cosa fare)
Lapproccio al dolore per essere efficace
e produttivo deve seguire sempre un algoritmo predeterminato e progressivo, scadenzato da
precise tappe di osservazione, valutazione, analisi ed intervento. Ci sembra che possa
essere utile schematizzare questo processo di approccio al sintomo in un percorso a cinque
tappe che può essere applicato, a qualsiasi tipo di dolore. Il percorso di approccio al
malato con dolore è il seguente:
riconoscere e definire il tipo o i tipi di dolore a cui ci si trova di
fronte;
localizzare e definire la sede e la natura del dolore, chiarendo se sia
di tipo diretto o riflesso;
quantificare la sua intensità soggettiva, la sua durata e il suo andamento sulla
base dellesperienza del paziente. Questa terza fase, indispensabile per un corretto
trattamento del sintomo, serve a codificare la parte del percorso diagnostico centrata sul
malato. È rappresentata dalla percezione dellevento da parte del paziente, che
risulta profondamente influenzato dalle precedenti esperienze dolorose, dallo stato danimo
e dallequilibrio psico-fisico di quel momento. Esso risulta unico ed irripetibile.
Di qui la necessità di non applicare schemi preformati di stima, ma di stare ad ascoltare
con attenzione il racconto del malato, puntualizzandolo con domande volte a caratterizzare
in modo riproducibile intensità, caratteristiche e durata riferite;
analizzare e valutare attraverso unattenta anamnesi ed un esame
obiettivo le caratteristiche peculiari che definiscono la sintomatologia e il risvolto che
questa ha sulla attività motoria del paziente, sulla sua qualità di vita e linfluenza
che esso determina sullo suo stato emotivo-affettivo. In questa quarta fase che
rappresenta lelemento oggettivo del percorso diagnostico guidato dal medico, si
provvederà inoltre a valutare la congruità tra elementi soggettivi ed oggettivi di
rappresentazione della sintomatologia algica;
rimuovere se possibile le cause e quando questo non risulti possibile
provvedere comunque al trattamento sintomatico, impiegando quei trattamenti farmacologici
o non farmacologici che si riterranno di volta in volta più adeguati.Lopportunità di definire un linguaggio (semantica
del dolore) che sia comune e facilmente riproducibile diventa un elemento
essenziale per permettere ai diversi soggetti che a vario titolo entrano nella gestione
del sintomo di interagire tra di loro in modo affidabile. Esso permette oltre alla
valutazione/definizione eziopatogenetica del processo, di garantire che il quadro venga
rappresentato e percepito da tutti gli operatori secondo una scala di valori uniforme,
condivisa e facilmente comprensibile.
La codificazione unitaria del percorso sintomatologico, della sua entità, durata e del
suo trattamento, soprattutto nei casi di cronicizzazione o evolutività del sintomo, come
avviene frequentemente nel malati neoplastici, sarà sicuramente utile.
Essa permetterà infatti di evitare che si ripetano, per quanto riguarda il trattamento
farmacologico, inutili tentativi già proposti in precedenza, sostituendo ad un farmaco
uno di pari potenza o ancor peggio di potenza inferiore. Ciascun operatore che verrà a
contatto in tempi diversi con il paziente potrà così avere un quadro oggettivo ed
aggiornato del divenire del malato partendo dal suo passato fino a giungere alla
situazione attuale. |
Approfondimenti. Riconoscere il dolore
Giova per favorire la diffusione di un linguaggio
comune puntualizzare brevemente le categorie essenziali che servono a definire il
paradigma della tipologia algica descrittiva, temporale e di sede, chiarendone brevemente
i concetti (vedi Tab. 2) .
Tabella 2.Tipologia algica |
Tipologia algica
descrittiva |
Tipologia algica
temporale |
Tipologia algica
di sede |
Colico
Costrittivo o ischemico
Gravativo (compressivo)
Pulsante (vascolare)
Trafittivo o puntorio
Urente (simpatico) |
Alternante
Incidente
Continuo |
Locale
Riflesso
|
Dolore colico: da contrazione
spastica di strutture a prevalente componente muscolare liscia. Ha andamento ciclico
progressivo da un minimo ad un massimo e quindi nuovamente a valori minimi, secondo tempi,
durata e intensità specifici per ciascuna eziologia.
Dolore costrittivo: si manifesta come espressione della riduzione del
flusso distrettuale in conseguenza di uno spasmo della muscolatura liscia vascolare.
Dolore gravativo: determinato da fenomeni di distensione e/o compressione
che producono per effetto compressivo la liberazione locale di mediatori algogeni
(prevalentemente sost. P e ioni H+).
Dolore pulsante: determinato dalla vasodilatazione creata da sostanze con
azione vasoattiva prodotti in corso di processi infiammatori (prevalentemente sostanze
istamino-simili, chinine e radicali liberi).
Dolore trafittivo: prodotto dalla stimolazione meccanica di terminazioni
sensitive libere, che liberano prevalentemente sostanza P e prostaglandine. Si accentua
con i movimenti attivi o passivi (dolore incidente).
Dolore urente: può essere prodotto sia da un insulto termico diretto,
che da una lesione simpatica distrettuale (gangliare) o locale (perivascolare). Esso
determina per le caratteristiche di monotona persistenza della sensazione di bruciore
(espressione di alterazione/lesione della conduzione del segnale a livello della fibra
simpatica) una alterazione del sistema di decodificazione talamica e si accompagna ad un
dolore con componente emotivo-affettiva pronunciata a genesi centrale (dolore
neuropatico), che necessita di un trattamento farmacologico specifico e
complesso.
Dolore continuo: persiste per più di una giornata senza recedere mai
totalmente, pur potendo variare di intensità.
Dolore alternante: si manifesta solo in determinati momenti della
giornata e non presenta alcun legame con attività, movimenti, ritmi biologici o
situazioni psico-fisiche.
Dolore incidente: viene provocato da movimenti attivi o passivi.
Dolore locale: riferito alla sede anatomica propria di insorgenza.
Dolore riflesso: riferito al territorio metamerico di innervazione. |
Valutare ("pesare") il dolore
Il processo del trattamento del dolore, e in
particolare di quello neoplastico, passa attraverso tre tappe fondamentali, come abbiamo
già ricordato: riconoscere, valutare e trattare il dolore. Quella centrale risulta lanello
portante di tutto lintervento.
Siamo abituati, per consuetudine, a considerare con più attenzione il primo e il terzo
punto di questo processo, mentre tendiamo ad avere poca considerazione per la fase di
valutazione. Intendiamo infatti per valutazione, non una generica definizione di quello
che a nostro avviso può essere il dolore provato dal malato, ma una valutazione precisa
dellintensità del sintomo che ci possa guidare nel decidere in modo strategico lintervento
terapeutico adeguato.
Se è scontato che nel trattamento di un paziente diabetico, iperteso o dislipidemico,
nessuno intraprenderebbe una terapia senza avere a disposizione il valore numerico della
glicemia, della pressione o del colesterolo, allo stesso modo ci si dovrebbe comportare
nei confronti di un sintomo così gravoso e debilitante quale il dolore.
Definizioni come poco, abbastanza, tanto, molto, sono troppo generiche e soggettive per
poter fornire uno strumento adeguato di valutazione dellintensità del sintomo. Va
ricordato inoltre come il dolore nel malato neoplastico sia qualcosa di più complesso del
mero fenomeno neurologico e si componga di aspetti non solo fisici, ma psichici, sociali e
spirituali che determinano quelli che gli esperti definiscono il dolore globale.
Un secondo aspetto da non trascurare è che la percezione del dolore è qualcosa di
estremamente soggettivo che presenta una variazione inter e intrapersonale (varia da
persona a persona e nello stesso individuo in momenti differenti della sua vita). Uno dei
dati rilevati con più frequenza nelle statistiche sulla valutazione e sul trattamento del
dolore è che questo è sovente misconosciuto e di conseguenza sottotrattato (il 75% dei
malati che esce dallospedale riferisce un dolore non trattato in modo adeguato).
Uno degli errori più frequenti fatti nella rilevazione del dolore da parte dei medici è
quello di voler interpretare il dolore altrui quantificandolo sulla base della propria
esperienza, invece che limitarsi a fotografarne lintensità come riferita dal
paziente.
Il dolore, se si dovesse tentarne uninterpretazione di tipo matematico, è sempre il
prodotto di fattori neurologici e psichici. D = P x N. Dove P risulta formato dalla somma
di tutti i fattori psicologici quali: ansia, depressione, paura, solitudine, ecc.,
integrata da elementi sociali, economici e religiosi. Mentre N deriva dal prodotto dellintensità
del sintomo per la sua durata.
La nostra attenzione di medici si rivolge sempre in modo prevalente al solo fattore N,
dimenticando come la componente P possa agire in modo altrettanto significativo sul
prodotto finale, alterandone a volte a dismisura il risultato. Questo spiega perché i
pazienti riferiscono spesso che il loro dolore non è trattato in modo adeguato. Per rispondere in maniera efficace a questo
problema sono state prodotte le scale di valutazione del dolore (Fig. 4 e 5). Esse sono
strumenti semplici e maneggevoli di valutazione dellintensità del sintomo che vanno
usate nella gestione del malato neoplastico (vedi figure). La valutazione del dolore in
questi soggetti deve essere continua, spesso giornaliera e in fase iniziale del
trattamento o in situazioni critiche va fatta anche più volte nella giornata.
Il poter associare un valore numerico allintensità del sintomo diventa lelemento
essenziale per intraprendere la terapia con il farmaco adeguato. Se gli analgesici non
oppioidi sono utili nel dolore di intensità da 1 a 4 e gli oppiodi deboli in quello che
va da 5 a 6, non si otterrà un risultato efficace nel trattamento di un dolore che va da
7 a 10 se non si impiegheranno oppiodi forti.
Di qui la necessità di usare quotidianamente le scale di valutazione per accertare lintensità
del dolore e scegliere di conseguenza lanalgesico più adeguato. Non sempre però
vanno percorsi in sequenza i tre gradini della scala analgesica in alcuni casi diventa
obbligatorio, per ottenere un risultato, partire già dallinizio con un farmaco del
2° o 3° gradino.
Un suggerimento: usate questi strumenti continuamente
nella valutazione del paziente annotando per iscritto landamento del dolore (diario
compilato quotidianamente che riporti landamento dellintensità e della durata
del dolore sia durante il giorno che durante la notte). Questo permetterà di monitorare
nel tempo lefficacia della terapia somministrata, consentendo di cogliere facilmente
quando sia il caso di procedere alle opportune modificazioni in presenza di ridotta
efficacia (o inefficacia) del trattamento. |
La scelta della terapia
Lapproccio al dolore si effettua secondo
tre modalità di base: modificare la sorgente dello stimolo, bloccare la trasmissione
dello stimolo al sistema nervoso centrale o alterare la percezione del sintomo. Luso
integrato di queste tre tecniche di trattamento produce di solito un risultato
apprezzabile.
Per definire la necessità di un approccio globale ed integrato al sintomo e alla
sofferenza che ne deriva, si parla spesso nel malato di cancro di dolore totale.
Questa definizione, codificata dal comitato di esperti che si è occupato di stilare per lOMS
le linee guida per il trattamento del dolore, sottolinea come, nella sua
percezione-rappresentazione, intervengano con altrettanta forza, situazioni ambientali,
sociali, psicoemotive, spirituali e morali, che interagiscono con la mera
percezione-trasmissione neurofisiologica, amplificandola o modificandola in alcune
circostanze in modo sostanziale.
La scelta della terapia più efficace in ogni singolo paziente è il frutto del confronto
tra lentità del dolore riferito, misurato con le scale di valutazione e la
disponibilità di analgesici indicati per quel particolare tipo di dolore e per quel grado
di intensità. Se abbiamo imparato a fare uso quotidianamente nel nostro lavoro di scale
di valutazione del dolore, visive o verbali, sarà più semplice decidere per ogni
situazione quale sia lapproccio più efficace e razionale. Esistono regole precise e
codificate per la somministrazione dei farmaci e vanno sempre rispettate (Fig. 6).Un dolore che in una scala di valutazione da 1 a 10 superi il
valore di 5 è sicuramente un dolore che interferisce pesantemente con la qualità della
vita di una persona e viene definito un dolore importante. Se analizziamo con più
attenzione la progressione dellintensità del dolore in una scala analgesica,
dovremo definire come dolore leggero quello che va da 1 a 4, moderato
quello che va da 5 a 6, mentre definiremo come dolore severo quello
da 7 a 10.
Questa ulteriore suddivisione dei valori in tre blocchi (1-4, 5-6, 7-10 in una scala da 1
a 10 o analogamente 10-40, 50-60, e 70-100 in una scala da 1 a 100) permette di definire
tre diversi livelli di soglia di attenzione, con differenti implicazioni per quanto
riguarda lintensità del sintomo da trattare.
La scala analgesica a tre gradini dellOMS (Fig. 7) usa proprio queste tre categorie
di dolore per definire il tipo e le modalità di trattamento da applicare. I pazienti che
non hanno mai ricevuto trattamenti analgesici in passato e che riferiscono un dolore che
va da leggero a moderato dovrebbero ricevere come prima scelta un trattamento analgesico
con farmaci non oppiodi (I° gradino della scala analgesica).
Se, rivalutando il risultato della terapia, il paziente, nonostante un trattamento con
farmaci di primo gradino, riferisce ancora dolore di entità lieve-moderata, si dovrà
aumentare le dosi del farmaco non oppiaceo fino a raggiungere il massimo dosaggio
consentito. Se anche in questo caso non si ottiene un adeguato controllo del sintomo,
risulta indispensabile aggiungere un farmaco di II° gradino, vale a dire un oppiaceo
debole.
Se, dopo aver fatto questa modificazione, il malato lamenta ancora un dolore di intensità
lieve-moderata, diventa indispensabile aumentare progressivamente loppiaceo debole
fino ai massimi dosaggi tollerati o consentiti. In caso questo non sia fattibile o risulti
inefficace si dovrà sostituire alloppiode debole (II° gradino della scala
analgesica) un oppioide forte (III° gradino della scala analgesica), mantenendo, se del
caso, il farmaco di primo gradino e associando per ogni gradino di trattamento, quando
opportuno, un adiuvante (vedi oltre).
Molti esperti consigliano di non seguire in modo rigido le raccomandazioni della scala per
quanto riguarda la progressiva scalata dei farmaci da usare, ma di iniziare decisamente
già con un farmaco di II° gradino di fronte ad un dolore di intensità medio-alta e di
III° gradino di fronte ad un dolore insopportabile.
Se il paziente, pur assumendo un oppiaceo forte, segnala la persistenza di un dolore
lieve-moderato, la dose di questultimo farmaco dovrebbe essere aumentata fino a
raggiungere quella efficace al controllo di quel sintomo. Questo metodo ha dimostrato,
dopo valutazioni "sul campo" accreditate, di essere in grado di fornire un
controllo efficace del dolore nell80-90% dei pazienti.
Nonostante il peso di queste affermazioni, si deve rilevare, con profonda amarezza e un po
di sconforto, che pur con lampia diffusione data dallOMS a queste linee guida
(prodotte tra laltro da un gruppo di esperti internazionali riuniti ad hoc su questo
problema), esse vanno ancor oggi regolarmente disattese in molte nazioni, tra cui la
nostra.
Credo pertanto possa essere utile analizzare un po più da vicino le caratteristiche
e le indicazioni dei farmaci dei tre gradini. Appartengono al I° gradino il paracetamolo,
laspirina e i Fans. Questo tipo di farmaci risultano nella pratica di valore
limitato nel trattamento del dolore neoplastico, in quanto tutti hanno un livello basso di
efficacia massimale.
Le dosi giornaliere di paracetamolo da somministrare non devono superare i 4 g, per
evitare il rischio di danni epatici. Anche limpiego di aspirina o di altri Fans è
limitato (i dosaggi sono quelli previsti dalla farmacopea ufficiale) in questi pazienti,
dallalto rischio di patologia gastrica e di sanguinamenti dovuti alla loro azione
antiaggregante piastrinica.
Sarà bene quindi, in caso di un loro impiego, monitorare periodicamente il paziente per
quanto riguarda linsorgenza di una eventuale sintomatologia a carico dellapparato
digestivo, di problemi di funzionalità epatica o renale e di possibili sanguinamenti. Si
ricorda che, nella prevenzione dei danni gastrici da Fans, 200 mg x 2 al dì di
misoprostol per os sono risultati più efficaci della ranitidina 150 mg x 2 al dì, sempre
per la stessa via.
I farmaci oppiodi di II° gradino (in particolare i più
usati in questo campo sono: codeina, diidrocodeina, tramadolo e buprenorfina) sono
limitati al trattamento del dolore moderato. Essi sono gravati da quello che tecnicamente
viene definito "effetto tetto" ("ceiling effect"). Questa
definizione sta a significare che, aumentando il dosaggio oltre quello consigliato, si
ottiene uno scarso (o nullo) miglioramento nel controllo dellanalgesia, a fronte di
un aumento notevole di effetti collaterali che rende di fatto il loro impiego
inaccettabile. Essi inoltre sono sovente prodotti in associazioni fisse con altri farmaci
(in prevalenza analgesici non oppiodi), che risultano spesso troppo vincolanti o
incongrue, limitandone di fatto ulteriormente la maneggevolezza.
Va segnalato, anche, che la codeina presenta un notevole incremento di effetti collaterali
a dosi che superano 1,5 mg/kg di peso corporeo. Inoltre esistono soggetti non responsivi a
questo farmaco o perché non dispongono del sistema enzimatico CYP2D6 che trasforma,
demetilandola, la codeina in morfina (la codeina si ricorda è infatti metilmorfina) o
perché questo è inibito competitivamente da farmaci quali la fluoxetina, la cimetidina o
la chinidina.
Il tramadolo, daltra parte, presenta effetti collaterali quali: nausea, vertigini,
stipsi, sedazione, cefalea e riduce la soglia epilettica, per cui va impiegato con
precauzione in pazienti che fanno uso di farmaci che abbassano questa soglia quali gli
antidepressivi triciclici e gli inibitori del reuptake della serotonina, mentre non
dovrebbe essere prescritto ai pazienti che presentano una storia di epilessia.
La buprenorfina, derivato sintetico di un alcaloide inattivo delloppio, la tebaina,
è un agonista parziale per il recettore µ, un antagonista di quello k , e un agonista di
quello ð ed ha una capacità analgesica pari alla morfina per dosaggi compresi nel range
medio basso di questultima. A bassi dosaggi la buprenorfina e la morfina presentano
una sinergia nel loro effetto dazione, mentre, per dosaggi alti, può verificarsi un
effetto antagonista della buprenorfina nei confronti dellefficacia della morfina.
Non cè però alcuna utilità nel prescriverli entrambi.
Gli oppioidi del III° gradino (morfina, metadone,
fentanyl, ossicodone, idromorfone) sono comunemente prescritti per il controllo del dolore
da moderato a severo. Essi vanno utilizzati uno per volta proprio per trarre profitto
dalle differenze individuali di risposta al loro impiego. Le moderne teorie di trattamento
analgesico ipotizzano infatti la possibilità di ruotare questi farmaci per prevenire o
superare uneventuale comparsa di inefficacia, ipotizzando che ciascuno di essi possa
agire su differenti gruppi di recettori.
Esistono sul mercato formulazioni differenti che consentono di avere a disposizione un
armamentario sufficientemente differenziato ed efficace, se gestito correttamente con
competenza.
La morfina è il farmaco più usato tra quelli del III° gradino, le sue formulazioni si
suddividono sostanzialmente in due categorie: quelle a rapido rilascio (sciroppo
e compresse, queste ultime non disponibili in Italia) e quelle a rilascio
controllato (discoidi, compresse). Esse hanno indicazioni ed utilità differenti,
proprio perché hanno differenti durate dazione.
Non esiste un dosaggio limite massimo allimpiego di morfina. La dose da
somministrare è quella che riesce a controllare in modo efficace il sintomo, oppure
quella massima tollerata senza la comparsa di effetti indesiderati che siano mal
controllabili o intollerabili. È quindi possibile vedere, in pazienti differenti, dosaggi
efficaci estremamente diversi che vanno da dosi di pochi milligrammi a dosaggi di grammi
in alcuni casi particolari, con un range di variabilità fino a 1.000 volte tra un caso e
laltro.
In genere, però, la maggior parte dei pazienti controlla il proprio dolore con quantità
giornaliere di farmaco che non superano i 200-300 mg/die. Lemivita plasmatica della
morfina è in media 2-4 ore e lo "steady-state" del farmaco viene
raggiunto dopo 5 emivite, vale a dire dopo circa 24 ore.
Questo è il tempo di solito necessario per rivalutare lefficacia della terapia o linsorgenza
di eventuali effetti collaterali, sia durante un trattamento analgesico iniziale (per
definire la dose giornaliera necessaria), che dopo un aggiustamento posologico con farmaco
a pronto rilascio. Va ricordato inoltre che se la morfina a rapido rilascio ha mediamente
una durata di azione di 4 ore, può accadere che in alcuni soggetti, per motivi
metabolici, la sua durata dazione sia più breve, spiegando così la loro anticipata
richiesta di farmaco per il controllo del dolore. |
Somministrazione di oppiacei per via orale
La via orale di trattamento è quella
preferita perché è più semplice, più facile da applicare, meno costosa, sia in termini
economici che di qualità di vita: la sua assunzione non crea infatti alcuna sofferenza al
paziente. Essa ha inoltre il miglior rapporto costo-efficacia e andrebbe quindi, per tutti
questi motivi, privilegiata.
Succede però molto spesso di vederla troppo presto abbandonata, senza motivo, per vie
più costose o invasive, anche quando non esista alcuna indicazione in questo senso. Molte
volte, più che un cambio di modalità di somministrazione, è sufficiente un adattamento
posologico e/o lassociazione con farmaci di supporto per gestire il sintomo in modo
adeguato.
La terapia con morfina in un paziente con dolore da moderato a grave non più controllato
da un oppiaceo debole (II° gradino, in associazione o meno ad un non oppioide e ad un
adiuvante), va preferibilmente iniziata con morfina a rapido rilascio. Si procede di
solito con lo sciroppo, per stabilire nel giro di alcuni giorni (in media da 3-4 gg fino
ad una settimana) la dose giornaliera necessaria. Ovviamente la quantità con cui iniziare
il trattamento dovrà tenere presente la posologia dei farmaci assunti in precedenza (vedi
Tabella 3) e lintensità attuale del dolore riferito dal paziente.
Tabella 3.Farmaci
oppioidi: principali parametri di riferimento da Oxford Text of Palliative Medicine
modificato |
Farmaco |
Dose (mg) equianalgesica a
10 mg di morfina i.m./s.c. |
Rapporto
i.m.s.c./os |
Emivita (h) |
Durata dazione |
i.m./s.c. |
os |
Morfina
Codeina
Ossicodone
Idromorfone
Ossimorfone
Fentanyl
Tramadolo
Buprenorfina |
10
130
15
1,5
1
0,1
100
0,4 |
20-30
60
200
30
7,5
10
-
120
0,8 |
2/3:1
6:1
1,5:1
2:1
5:1
10:1
-
1,2:1
- |
2-3,5
2-3
3-4
2-3
2-3
1-2
?
2-3 |
3-6
2-4
2-4
2-4
3-4
1-3
4-6
6-9 |
Note: Il rapporto dose parenterale/orale per la morfina risulta
più alto negli studi su dosi singole. Questo è probabilmente spiegabile oltre a
possibili differenze metodologiche con il fatto che bisogna tenere conto nel computo dellefficacia
di un suo metabolita altamente attivo che è la morfina 6-glucuronide. È possibile che
questo si accumuli maggiormente nella somministrazione orale giustificando così la
potenza relativa maggiore rilevata per questa via nella cronica somministrazione. Il
rapporto dose parenterale/orale per lidromorfone deriva da studi su dosi singole.
Empiricamente 100 mg/h di fentanyl transdermico sono uguali a 2-4 mg/h di morfina
somministrata e.v. I dati relativi allemivita e alla durata dazione del
fentanyl sono derivati da dati su dosi singole. Linfusione continua produce una
accumulazione lipidica con prolungamento del tempo di eliminazione. |
Con questa formulazione, infatti,
è possibile modularne le dosi seguendo levoluzione della sintomatologia;
permettendo così di effettuare rapidi cambi di dosaggio in caso di necessità. Unattenta
e frequente rivalutazione della sintomatologia e degli eventuali effetti collaterali
consente di evitare linsorgenza di sintomi indesiderati importanti dovuti al
sovradosaggio e/o allaccumulo. Si potrà inoltre ridurli velocemente fin dalla loro
prima insorgenza, modificando rapidamente la posologia e/o le modalità di
somministrazione.
Esistono poi effetti collaterali quali la nausea, il vomito e la stipsi che sono sempre o
spesso presenti nel trattamento con oppiacei. Essi vanno perciò previsti, ricercati e
gestiti con terapie ad hoc come specificato più avanti. Oltre alle quantità prescritte
inizialmente e somministrate ogni quattro ore, si devono prevedere e prescrivere ulteriori
aggiunte di farmaco di pari dosaggio (fino a raggiungere, se necessario, un intervallo
minimo di unora tra una somministrazione e laltra). Esse vanno somministrate
qualora la quantità stabilita inizialmente non sia sufficiente a mantenere il paziente
senza dolore per lintero intervallo di 4 ore.
Per evitare la somministrazione della notte e consentire un maggior numero di ore di sonno
si preferisce, dopo un primo assestamento posologico con 6 somministrazioni giornaliere,
eliminare la dose notturna aumentando lultima dose serale del 100% per bassi dosaggi
di farmaco e del 50% invece per dosaggi più elevati. È buona norma lasciare sul comodino
una dose ulteriore di riserva che il paziente potrà assumere in caso di necessità.
Stabilito il dosaggio efficace giornaliero si calcola la dose totale di morfina
somministrata nella giornata e la si divide per due ottenendo così il dosaggio di
ciascuno dei due discoidi a lento rilascio da somministrare ogni 12 ore. Lultima
dose di sciroppo e il primo discoide vengono somministrati insieme. La formulazione a
rilascio controllato (discoidi), grazie ad una speciale tecnica farmaceutica di
preparazione, consente una durata media delleffetto pari a 12 ore.
La tecnica di confezionamento del prodotto non consente di masticare o rompere le
compresse perché in questo caso ci si troverebbe di fronte ad una modalità di
assorbimento a rapido rilascio, invece che ad effetto ritardato, con effetto picco e una
durata dazione del tutto imprevedibile.
Va segnalato che è stata di recente introdotta, anche sul mercato italiano, una
confezione di morfina retard in microgranuli che consente lapertura della capsula e
la somministrazione della stessa in alimenti liquidi quali brodo o minestra.
Lintervallo tra una somministrazione e laltra deve essere rigorosamente di
dodici ore; intervalli più brevi, al di fuori di pochi casi eccezionali, non hanno alcun
razionale. In caso si verifichi la necessità di aumentare il dosaggio si dovrà infatti
aumentare la posologia delle singole somministrazioni del farmaco ogni 12 ore (e non
ridurre gli intervalli di somministrazione!!).
Lo sciroppo a pronto rilascio consente inoltre di fronteggiare in breve tempo repentine e
capricciose modificazioni della sintomatologia dolorosa, non controllate a sufficienza
dalla terapia di base con morfina retard somministrata ad intervalli regolari. Esso deve
quindi essere sempre disponibile in aggiunta alla terapia di fondo somministrata ogni
dodici ore per far fronte ad episodi di dolore incidente.
In alternativa alla via orale, quando il paziente presenta nausea e/o vomito, o non è
più in grado di deglutire, è possibile somministrare il farmaco per via rettale,
transcutanea o sottocutanea. |
Dosi per iniziare un trattamento con morfina per os
Dovendo iniziare un trattamento con morfina
si comincerà a somministrare 5 mg di sciroppo ogni 4 ore se il paziente non assumeva
oppiacei in precedenza (paziente "naive") o in caso di pazienti anziani
e/o defedati, per ridurre liniziale sonnolenza, leventuale confusione mentale
e le difficoltà di equilibrio.
Per coloro che già assumevano codeina, la dose iniziale sarà di 10 mg, sempre ogni 4 ore
(oppure 30 mg di morfina retard ogni 12 ore). Infine essa sarà di 15-20 mg con lo stesso
intervallo di tempo se il paziente assumeva oppiodi per via generale (vedi Figura 8). Per
quanto riguarda gli aggiustamenti posologici in caso di persistenza del dolore, gli
esperti propongono di salire con il dosaggio ogni 24 ore aggiungendo ogni volta allincirca
il 50% della dose del giorno precedente (es: 5 - (7,5) - 10 - 15 - 20 - 30 - 40 - 50 -
60).
È buona norma comunque, nel passare da un farmaco allaltro, tenere conto delle
tabelle che riportano le dosi equianalgesiche (vedi Tabella 3). Esse, pur rappresentando
solo un criterio orientativo la cui equivalenza può variare da soggetto a soggetto,
permettono di orientarsi nel decidere il dosaggio più razionale, evitando così di
incorrere in grossolani errori di sovra o sottodosaggio. |
Somministrazione di oppiacei per via rettale
La morfina a rilascio rapido è
efficace anche per via rettale. La dose da somministrare per questa via è pari a quella
somministrata in precedenza per via orale. Con questa modalità di somministrazione la
morfina presenta la stessa biodisponibilità e la stessa durata dazione della
morfina a rapido rilascio assunta per os.
Quanto detto sembra derivare più da riferimenti aneddotici che da sperimentazioni vere e
proprie, perché da un punto di vista farmacocinetico ci si aspetterebbe un assorbimento
più elevato per via rettale in quanto questa via consente un passaggio diretto del
farmaco in circolo come avviene per la via sublinguale.
Si può somministrare il farmaco a pronto rilascio per via rettale sia facendo uso di
supposte che di soluzioni utilizzando microclismi (vedi articolo sulle preparazioni
galeniche pubblicato nel numero precedente). La via rettale può anche essere utile in
fase pre e post operatoria se il paziente deve rimanere a digiuno.
Non è da usarsi in casi di lesioni dellano o del retto perché può risultare
dolorosa, né in presenza di emorroidi sanguinanti o di diarrea per le notevoli
alterazioni nella sua cinetica di assorbimento o negli anziani per difficoltà di
assunzione. Le compresse a lento rilascio possono essere somministrate anche per questa
via, ma studi effettuati a tale proposito indicano una più lenta percentuale di
assorbimento rispetto alla somministrazione per bocca.
Va segnalato che, come per gli altri farmaci somministrati per questa via, la quantità di
prodotto assorbita per via rettale non è sempre stabile né prevedibile con certezza
(alcuni studi parlano di un assorbimento che varia tra il 12% e il 61%, altri segnalano la
stessa efficacia per lo stesso dosaggio tra os o via rettale) in quanto, oltre a
differenti cinetiche di assorbimento, è possibile perderne una parte per incontinenza,
soprattutto per gli anziani.
È una via scarsamente usata in Italia, anche se è possibile confezionare senza troppe
difficoltà supposte di morfina aggiungendo il farmaco in quantità dai 10 ai 30 mg al
burro cacao o inserire tramite siringa la polvere disciolta in soluzione o le fiale in
capsule di gelatina dura idrosolubile o più semplicemente facendo uso di microclismi
preparati ad hoc in modo estemporaneo.
Nel nostro paese ci si limita molto spesso allintroduzione per questa via di una
soluzione preparata estemporaneamente ed iniettata facendo uso di siringhe (come per il
diazepam), di piccoli cateteri o di perettine per clisteri. Le preparazioni in
microclismi, indicate nel numero precedente di questa pubblicazione, possono essere
facilmente approntabili e sicuramente meno traumatiche e fastidiose, seppur di pari
efficacia, di una somministrazione tramite siringa. Per questa stessa via e con le stesse
metodiche sopra indicate è possibile somministrare con efficacia sia lossicodone
che lidromorfone. |
Somministrazione di oppiacei per via transcutanea
La via transcutanea evita lassorbimento
tramite il tratto gastrointestinale. Il solo oppiaceo forte attualmente disponibile con
questa tecnica è il fentanyl, prodotto in cerotti transdermici dosati in mcg/h di
dismissione (rispettivamente da 25, 50, 75 e 100 µg/h). La dose oraria massima
racccomandata è pari a 300 mcg/h, consentendo così unampia gamma di scelta nei
dosaggi da somministrare. Ciascun cerotto fornisce per 72 ore una dismissione continua del
farmaco al dosaggio prefissato.
I livelli plasmatici salgono progressivamente nelle prime 12-18 ore dopo la sua
applicazione e con questa via di somministrazione il farmaco ha una emivita di 21 ore
circa. A differenza della formulazione per endovena, con questo sistema il farmaco è poco
maneggevole per rapide modificazioni di dosaggio. Va quindi impiegato solo in pazienti che
presentano un dolore stabile con pochi episodi di dolore incidente. In soggetti che non
hanno mai fatto uso in precedenza di morfina o di altri oppiacei forti deve essere
inizialmente somministrato al dosaggio più basso (vedi Tabelle 4-5).
Tabella 4.Tabella di
conversione da morfina solfato orale a fentanyl transdermico da R. Twycross "Symptom
management in advanced cancer" |
Morfina
orale
(ogni 4 ore) |
Morfina
orale
(mg/die) |
Fentanyl
transdermico
(velocità di dismissione in mcg/h) |
5-20
25-35
40-50
55-65
70-80
85-95 |
30-120
150-210
240-300
330-390
420-480
510-570 |
25
50
75
100
125
150 |
Tabella 5.Calcolo della dose di
riserva di morfina da somministrare ad un paziente in terapia con fentanyl da R. Twycross
"Symptom management in advanced cancer" |
Dividere il tasso di dismissione del
cerotto di fentanyl (mcg/h), che è indicato nelle differenti confezioni del farmaco, per
3 e somministrare la quantità così calcolata come morfina s.c. (mg). |
|
Somministrazione di oppiacei sottocute, e.v. o i.m.
Sia la somministrazione sottocutanea
che quella endovenosa (vedi più avanti) sono una efficace alternativa alle vie
precedenti, in caso di necessità. Trovano impiego, oltre che nei pazienti con nausea e
vomito, disfagia e difficoltà di deglutizione, anche in quelli con confusione o
alterazione dello stato mentale, per i quali può essere controindicato, per il pericolo
di eventuali aspirazioni del farmaco nelle vie respiratorie, continuare con la via orale.
Altre indicazioni sono i pazienti che necessitano di dosaggi estremamente elevati di
farmaco (numerosi discoidi o capsule), quelli che necessitano di rapidi incrementi di
posologia e coloro che presentano effetti collaterali importanti e mal tollerati già in
fase iniziale di somministrazione con lo sciroppo al bisogno. Per questa via infatti si
possono usare, con parità di efficacia, dosaggi di farmaco inferiori (vedi Tabella 3).
La via sottocutanea (vedi articolo a tale riguardo in questa pubblicazione) è una
semplice e pratica alternativa facilmente gestibile, sia in regime ospedaliero che
soprattutto a domicilio, anche dal malato stesso o dai suoi familiari, quando non sia già
disponibile per altre ragioni un accesso venoso. È evidente che linfusione continua
di farmaci è sicuramente più efficace e preferibile a somministrazioni ripetute e/o al
bisogno sia intramuscolari che per sottocute (vedi più avanti).
Esistono infatti dispositivi infusionali semplici: pompe di tipo meccanico a molla
(collocate in una piccola borsa e fissate alla vita del malato sotto gli abiti come una
banale cintura) che permettono, raccordando una siringa ad un butterfly 25 Gy posizionato
in sottocute, di infondere il farmaco in modo continuo attraverso il movimento meccanico
dello stantuffo. Questi pratici dispositivi, con possibilità di regolare manualmente la
velocità di infusione, sono abbastanza economici, facilmente manovrabili, richiedono
scarsa manutenzione e sono sufficientemente robusti da poter essere usati per anni per il
trattamento di molti pazienti.
Esistono inoltre dispositivi assai sofisticati, estremamente più costosi, che permettono,
per situazioni particolari, la gestione computerizzata programmata e differenziata della
somministrazione, oppure dispositivi monouso con velocità di infusione oraria fissa, già
predefinita per ciascun tipo di infusore, non modificabile. La sede di infusione andrebbe
ruotata almeno una volta ogni 2-3 giorni per evitare linsorgenza di fenomeni
infiammatori. In caso di difficoltà a reperire questi presidi è possibile somministrare
sottocute il farmaco ad intervalli regolari e ad un dosaggio che sia 1/2-1/3 di quello
assunto per bocca ogni 4 ore (o 1/6-1/9 della dose retard somministrata ogni 12 ore).
Una singola dose di morfina nel dolore postoperatorio presenta un rapporto di potenza
os/i.m. pari a 1:6. Nella somministrazione cronica del farmaco esso si assesta ad un
rapporto di 1:2, 1:3. La discrepanza di efficacia tra potenza relativa di una dose singola
e un trattamento cronico può essere spiegata, oltre che con le differenti metodologie
impiegate nella valutazione, con differenze farmacocinetiche e farmacodinamiche.
È possibile che laccumulo del metabolita attivo morfina 6 glucuronide (il 3
glucuronide è invece inattivo) in rapporto alla quantità di morfina somministrata sia
differente tra somministrazione parenterale e orale, in particolare più alto per questultima,
spiegando così la potenza superiore della via orale nelle somministrazioni croniche (vedi
nota Tabella 3). Il dato comunque più importante, utile per la pratica clinica, è che
esiste una differente potenza relativa nellimpiego di vie di somministrazione
diverse per lo stesso farmaco.
Essa va tenuta ben presente quando si cambia la via di somministrazione per non incorrere
involontariamente in una ripresa del dolore per un sottodosaggio del farmaco o nella
comparsa di effetti tossici da sovradosaggio. La pratica corrente, nel passare dalla
morfina orale a quella sottocutanea, è di dividere la dose somministrata per os per 2 o 3
(lExpert Working Group of the European Association for Palliative Care propone
più specificatamente rispettivamente il rapporto di 1:1 tra os e via rettale; 1:2 tra os
e via sottocutanea e 1:3 tra os e via endovenosa).
La somministrazione endovenosa fornisce unanalgesia più rapida, ma la sua durata
dopo somministrazioni in bolo è sicuramente inferiore a quella per altre vie, come pure
di somministrazioni lente prolungate sia e.v. che sottocute. Per i pazienti già portatori
di catetere centrale a permanenza la via endovenosa può essere una valida alternativa in
alcune situazioni particolari.
La via intramuscolare infine andrebbe evitata nel trattamento cronico in quanto dolorosa,
scomoda e perché lassorbimento non è attendibile. La documentazione del fallimento
del controllo del dolore con farmaci analgesici e adiuvanti a dosaggio massimale per le
vie più semplici fin qui riferite deve precedere sempre la scelta di una via più
invasiva: intraspinale o intraventricolare. La via intraspinale e a maggior ragione quella
intraventricolare vanno riservate quindi a pochi casi selezionati in centri specialistici.
|
Gli oppioidi da non usare
Esistono infine degli oppiodi che non
sono raccomandati per limpiego nel dolore da cancro. Essi sono: la meperidina, la
pentazocina, il butorfanolo, la dezocina e la nalbufina. La meperidina non dovrebbe essere
usata sia per la sua breve emivita sia per il fatto che il suo metabolita normeperidina
risulta tossico.
Gli agonisti/antagonisti quali: pentazocina, butorfanolo, dezocina, nalbufina hanno una
bassa efficacia massimale e presentano il non trascurabile rischio di scatenare una
sindrome di astinenza in pazienti che stanno già facendo uso di oppiacei agonisti puri,
per cui anchessi vanno evitati.
Gli agonisti parziali, come la buprenorfina, sono di utilità limitata a causa della bassa
efficacia massimale con rilevanti effetti tossici sopra la dose ottimale consigliata,
senza che si abbia per questo un guadagno di analgesia. Per la buprenorfina mentre alcuni
non ne raccomandano luso sia per leffetto tetto oltre determinati dosaggi che
per la possibile finestra di scopertura terapeutica quando da questa si debba passare a
morfina, altri (Zenz comunicazione personale) la ritengono paragonabile un oppioide forte
(III° gradino scala analgesica) con minori problemi di effetti collaterali rispetto alla
morfina, seppur limitata nel suo uso in qualche modo dalleffetto tetto, ma
sicuramente più potente di tutti gli oppiacei del II° gradino della scala. |
Effetti collaterali più frequenti nel trattamento con oppiacei
Poiché esiste una grande variazione
individuale nello sviluppo di effetti collaterali durante la somministrazione di oppiodi
è necessario che il medico monitorizzi attentamente il paziente, ricercandoli
metodicamente, e li tratti immediatamente alla comparsa. Inoltre per alcuni, che sono
pressoché inevitabili, è buona regola eseguire già fin dallinizio una adeguata
profilassi. I più frequenti sintomi collaterali che si presentano in un trattamento con
oppiacei sono: la stipsi, la sedazione, la nausea e il vomito e infine la depressione
respiratoria. La stipsi
La stipsi è il problema più comune che si presenta con luso
di questi farmaci. Esso non va incontro nel prosieguo del trattamento, al fenomeno della
tolleranza, per cui risulta sempre presente durante tutto il trattamento. È bene iniziare
a somministrare sin dal primo giorno di impiego degli oppiacei un trattamento con fibre e
lassativi di potenza media (es. magnesia) in caso di stipsi non severa.
In caso di stipsi severa usare lassativi più potenti di tipo stimolante (es. senna o
bisacodile) a cui si possono aggiungere lassativi di tipo osmotico (es. lattulosio o
sorbitolo). Essi vanno assunti preferibilmente alla sera, con laggiunta in caso di
necessità di una supposta di glicerina.
I lassativi ammorbidenti o emollienti (es. docusato) sono di utilità limitata per il
fatto che il colon riassorbe acqua dalle feci in formazione. Non vanno quindi usati da
soli, ma possono risultare utili se associati ai lassativi stimolanti in pazienti
allettati.
Sedazione
La sedazione transitoria si presenta frequentemente quando si
aumentano i dosaggi, ma nei confronti di questo sintomo fortunatamente si sviluppa invece
rapidamente tolleranza. In caso di una sua persistenza il miglior trattamento è quello di
ridurre, quando si fa uso di morfina pronto rilascio, la dose di farmaco in ciascuna
somministrazione, aumentandone però la frequenza. In questo modo si manterranno stabili i
dosaggi ematici del farmaco e quindi la sua efficacia, riducendo però la sedazione che
deriva dal suo impiego.
Nausea e vomito
La nausea e il vomito sono fenomeni frequenti dopo le prime
somministrazioni di oppiodi e sono dovuti a differenti meccanismi dazione:
stimolazione dellarea postrema nel pavimento del IV ventricolo, stimolazione dellapparato
vestibolare, rallentato svuotamento gastrico. Esiste inoltre il vomito dovuto ad aumento
della pressione endocranica.
I farmaci impiegati per il suo trattamento appartengono a classi farmacologiche differenti
e sfruttano meccanismi dazione diversi centrali (neurolettici) o periferici
(metoclopramide). I dosaggi consigliati sono per laloperidolo 1-2 mg s.c. (o 1-2 mg
ogni 12 ore per os), per la clorpromazina 25 mg s.c. (o proclorperazina 5-10 mg ogni 4 ore
per os) e infine per la metoclopramide 10 mg s.c. (o 10 mg ogni 4 ore per os).
Depressione respiratoria
La depressione respiratoria è un fenomeno raro nei pazienti neoplastici in
trattamento cronico con oppioidi. Sono due i meccanismi che giustificano questa
affermazione: il fatto che il dolore risulta il miglior antagonista fisiologico della
depressione respiratoria e levidenza che nel trattamento cronico con oppiacei si
sviluppa, anche per questo sintomo, il fenomeno della tolleranza.
Lunica situazione in cui è possibile vedere una depressione respiratoria in questi
malati è quando il dolore viene interrotto bruscamente da un trattamento causale o
sintomatico senza che si sia contemporaneamente ridotta la quantità di oppiode
somministrato. In questo caso la possibilità di una sua manifestazione è dovuta allimprovvisa
caduta dello stimolo antagonista rappresentato proprio dal dolore.
Si ricorda che esiste in commercio (ed è obbligatorio per i medici averlo in borsa!) un
antagonista degli oppiodi: il naloxone. Va sottolineato però che esso va somministrato
con cautela in questi pazienti, in quanto essi sviluppano, con il trattamento cronico, una
tolleranza agli oppiacei e presentano una grande sensibilità allazione di farmaci
antagonisti.
Tabella 6.Trattamento delloverdose
di oppiacei con naloxone (American Pain Society) |
Se la frequenza del respiro
è = di 8/min e il paziente non risulta cianotico controllate frequentemente il paziente
usando la condotta di aspettare e osservare
Se vi trovate di fronte ad una depressione respiratoria pericolosa per la vita
diluite 1 fiala di naloxone (0,4 mg) in 10 cc di fisiologica per preparazioni iniettabili
Somministrate 0,5 ml di soluzione (0,02 mg per via endovenosa ogni 2 minuti) fino a
raggiungere uno stato del respiro soddisfacente
Ricordate che sono spesso necessari ulteriori boli di naloxone ogni 30-60 minuti
perché il naloxone ha unazione breve sulla morfina e su altri oppiacei. |
In caso di depressione respiratoria sintomatica
essa andrà trattata quindi con estrema cautela usando soluzioni diluite di naloxone (0,4
mg = 1 fl diluita in 10 cc di soluzione fisiologica), somministrando ogni minuto boli da
0,5 ml (0,02 mg di farmaco, vedi Tabella 6). Il dosaggio va ovviamente rivalutato sulla
base della frequenza respiratoria, ricordando che una ripresa completa dello stato di
vigilanza si associa in molti casi ad una sindrome da astinenza con ripresa del dolore.
Pertanto si dovranno somministrare dosi progressivamente crescenti di farmaco con lobiettivo
di migliorare la funzione respiratoria senza però arrivare, se possibile, a bloccare leffetto
analgesico. In alternativa ai boli si può diluire due fiale di farmaco (2 fl. = 0,8 mg)
in una glucosata al 5% da 250 cc e infonderla in modo continuo variando la velocità di
infusione a seconda della frequenza respiratoria.
Altri sintomi
Due brevi riflessioni possono risultare ancora utili per quanto riguarda la
comparsa di altri due sintomi indesiderati da trattamento con oppiacei: la confusione e la
sudorazione.
La confusione si verifica più frequentemente tra i pazienti anziani, che vanno informati
di questo. Con essi sarà necessario iniziare sempre con dosaggi più bassi o prescrivere
inizialmente il farmaco a pronto rilascio ogni 6-8 ore.
La sudorazione è un sintomo sperimentato da alcuni pazienti, può essere profusa e
diventare problematica durante la notte. Essa si presenta più spesso in pazienti con
metastasi epatiche. Il dormire poco vestiti in una stanza abbastanza fresca può essere
molte volte lunico rimedio, ma molti pazienti accettano volentieri questo fastidio
in cambio di un buon controllo del dolore, soprattutto se è stato spiegato loro che
questo sintomo non è preoccupante o pericoloso per la loro salute. |
Pregiudizi alluso della morfina
Molta disinformazione circa lefficacia
e gli effetti dei farmaci oppiacei, insieme ad erronee convinzioni radicate nel profondo
dellopinione pubblica, frutto più che altro di fantasie popolari piuttosto che di
dati di letteratura documentati, hanno portato al diffondersi di disinformazione e di
pregiudizi ingiustificati nei confronti di questi farmaci e del loro impiego.
In questo quadro inoltre si inserisce il sensazionalismo disinformativo e diseducativo dei
"cosiddetti mezzi di informazione" che confondono con molta facilità fenomeni
quali la dipendenza fisica (prova di efficacia del farmaco) con la dipendenza
psicologica (desiderio di assunzione per puro piacere) che è alla base del
fenomeno della dipendenza (atteggiamento compulsivo di ricerca del
farmaco per fini di piacere/abuso). La classe medica in larga parte purtroppo, ancora
oggi, non è esente dalla suggestione di queste pseudo-notizie, rinunciando in
questo caso ad un giudizio razionale sullefficacia medica di questi farmaci per
allinearsi, o meglio dire accodarsi, in modo irrazionale, al comune diffuso pregiudizio
che li circonda. Il primo mito
da sfatare è che lassunzione di morfina in cronico comporterebbe lo sviluppo di una
dipendenza psicologica.
Nulla è più falso nel caso dei malati neoplastici. Essi non assumono infatti il farmaco
per piacere (leggasi dipendenza psicologica. Essa in una ricerca su oltre 12.000 pazienti
neoplastici trattati si è sviluppata in soli 4 casi!!!), ma per riuscire a controllare un
dolore terebrante. Lassunzione di questi farmaci a dosi medio-alte per lunghi
periodi sviluppa sicuramente la necessità di non interromperne bruscamente lassunzione,
pena linsorgenza di effetti indesiderati (dipendenza fisica).
Questo fenomeno però sta solo a dimostrare lattività e lefficacia del
farmaco. Nessuno di noi si stupirebbe che sospendendo linsulina ad un soggetto
diabetico insulino-dipendente lo stesso possa andare incontro ad un coma diabetico o che
sospendendo un antiipertensivo ad un iperteso grave egli possa andare incontro ad una
crisi ipertensiva (sic!!).
In entrambi i casi i pazienti risultano dipendenti dal farmaco né più e né meno di come
avviene per gli effetti farmacologici degli stupefacenti. È ridicolo e quanto mai
tendenzioso (in quanto privo di un qualsiasi supporto scientifico) sostenere che gli
ammalati di cancro in trattamento con oppiacei per il dolore abbiano gli stessi problemi
dei tossicodipendenti che fanno abuso di queste sostanze a scopo di piacere (dipendenza
psicologica).
Il secondo riguarda la paura della comparsa di una
rapida e incontrollata assuefazione.
Il fatto inoltre che in alcuni ammalati si verifichi un aumento della richiesta di
questi farmaci per controllare il dolore è facilmente spiegabile con due fenomeni che
hanno un presupposto logico e razionale.
Il primo è la comparsa di tolleranza, fenomeno tipico degli oppiacei che si traduce nella
necessità, dopo qualche tempo, di trattamento di una dose maggiore di farmaco per
controllare lo stesso tipo di dolore.
Il secondo, è che purtroppo, il progredire della malattia, in questi pazienti a prognosi
infausta, porta inevitabilmente con sé molto spesso un aumento della sintomatologia
dolorosa che richiede ovviamente una dose maggiore di farmaco per il controllo del
sintomo. Sarebbe quasi come se ci si stupisse di dover aumentare le dosi di farmaco in un
iperteso di fronte ad una crisi ipertensiva (sic!!).
Il terzo è rappresentato dalla convinzione che lassunzione
di questi farmaci comporti la comparsa di fenomeni disforici o di una inadeguata euforia
pressoché costante.
Nessuno degli oppiacei impiegati a dosi adeguate nel trattamento del dolore sviluppa
euforia. Il miglioramento dellumore che si può verificare è diretta conseguenza,
nei casi in cui questo avvenga, del raggiunto controllo della sintomatologia dolorosa che
influisce pesantemente e quotidianamente sul tono dellumore e sulla qualità di vita
dei malati. Non è raro invece vedere comparire in questi malati trattati cronicamente dei
tratti di depressione, che si integrano e si spiegano con levoluzione della
patologia di base.
Il quarto mito, di difficile eradicazione, presente
purtroppo più tra i medici che tra i pazienti, è la convinzione che lassunzione
degli oppiacei comprometta la qualità di vita.
Ci si chiede, senza purtroppo trovare alcuna spiegazione razionale, come possa continuare
a persistere un simile pregiudizio quando sono sotto gli occhi di tutti i casi di malati
(ancora pochi purtroppo) che riescono a mantenere fino in prossimità della morte una
dignità ed una autonomia sufficienti con limpiego di queste sostanze perché
trattati adeguatamente.
Allo stesso modo sono purtroppo altrettanto visibili le molte migliaia di pazienti
(davvero troppi!!!) che passano gli ultimi mesi della propria vita con dolori atroci che
potrebbero essere sedati. Questo pregiudizio, che comporta la negazione da parte di molti
medici di una terapia di dimostrata efficacia, conferma purtroppo in molti malati e in chi
li circonda lerrata convinzione dellinutilità della terapia analgesica,
ponendo di fatto problemi morali e sostanziali che andranno affrontati a fondo in tempi
brevi. Questo atteggiamento di negazione di una terapia efficace solleva, secondo molti
bioetici al di là del problema umano, che non è sicuramente trascurabile, la
possibilità, tuttaltro che remota, di unaccusa di malpractice (vedi articolo
"Problemi etici in terapia palliativa" nel numero precedente di questa
pubblicazione).
Infine da ultimo, ma non per questo meno importante
("last but not least"), viene la paura che luso di questo tipo di farmaci
provochi depressione respiratoria.
Come già spiegato in precedenza, la comparsa di una depressione respiratoria
significativa è quanto mai rara in questi pazienti se sono stati trattati con dosi
adeguate di farmaco, in quanto è proprio il dolore stesso il miglior antidoto per
impedire la comparsa di tale sintomo.
Se quindi, seguendo le linee guida approntate ad hoc per il trattamento del dolore, si
eviterà di somministrare dosi incongruamente troppo alte di farmaco e se si avrà laccortezza
di scalare la dose prescritta in presenza di trattamenti che si prevede ridurranno
notevolmente o annulleranno lintensità del sintomo, non si dovrà avere paura di
imbattersi in questo fenomeno. I pochi casi raccontati fanno parte più di una letteratura
aneddottica che scientifica e si riferiscono ad usi incongrui del farmaco più che alla
comparsa di un effetto collaterale imprevedibile. |
Riflessioni pratiche riassuntive finali
La terapia analgesica deve essere
somministrata secondo un preciso schema, ad orari e ad intervalli fissi. La
somministrazione non deve mai essere fatta al bisogno, ma programmata. Lunica
situazione in cui si può usare un trattamento al bisogno è quella in cui si pensa che il
dolore possa durare non più di 24 ore.
Si deve somministrare la dose minima efficace a prevenire linsorgenza del dolore e
non aspettare che esso si manifesti per trattarlo. Si sa infatti che il dolore, trattato
con dosi profilattiche adeguate di farmaco atte a prevenirlo, richiederà sempre quantità
minori di sostanza di un trattamento "al bisogno". Invece, la paura di riprovare
dolore, innescherà come conseguenza manifestazioni di ansia e di paura che abbasseranno
notevolmente la soglia percettiva, richiedendo di conseguenza dosaggi maggiori, anche a
parità di sintomatologia, per il forte peso che esercita lo stato emotivo del paziente
sulla sua percezione del sintomo.
Devono essere previste dosi aggiuntive di farmaco per controllare il dolore incidente.
Esse devono essere indicativamente pari alla dose di farmaco a pronto rilascio che si
somministra ogni quattro ore. Se il paziente segnala troppo frequentemente un dolore
incidente o deve assumere troppe dosi di "riserva", in aggiunta alle
somministrazioni programmate ad orari fissi, si dovrà aumentare la dose totale
giornaliera di farmaco.
Nel caso invece la necessità di dosi aggiuntive sia rara, sarà bene continuare con il
dosaggio base di farmaco programmato, prescrivendo dosi integrative da lasciare sul
comodino in caso di necessità. Di fronte a dolore severo, mal controllato dalla dose di
farmaco che si sta somministrando, è bene incrementare il dosaggio totale giornaliero di
morfina di un 50-100% ogni 24 ore, mentre lincremento sarà solo pari al 25-50%
della dose delle 24 ore se il dolore che il paziente riferisce ancora di avere è di
intensità moderata.
In caso si preveda una diminuzione importante o una risoluzione del dolore in conseguenza
di un trattamento causale o palliativo della sua sorgente (es.: intervento chirurgico,
chemioterapia, radioterapia, flash antalgici su metastasi ossee) è bene prevedere in
anticipo questa evenienza, cominciando a ridurre progressivamente i dosaggi del farmaco
somministrato. Si eviterà così la comparsa di effetti collaterali spiacevoli. Il dolore
infatti, fino a quando è presente, risulta essere il miglior antidoto alla depressione
respiratoria da oppiacei. Per evitare la comparsa di una sindrome da astinenza si riduce
del 50% la dose somministrata giornalmente nei primi due giorni, poi del 25% la dose
quotidiana ogni due giorni, finché la dose totale (in equivalenti di morfina) è pari a
30 mg al giorno. A questo punto il farmaco può essere sospeso dopo due giorni dalla dose
di 30 mg die (American Pain Society). La clonidina per via transdermica alla dose di
0,1-0,2 mg/die può ridurre lansia, la tachicardia e altri sintomi autonomici da
sospensione di oppiacei.
Leffetto analgesico per gli oppiacei a rapido rilascio somministrati per os (es.
morfina, ossicodone, idromorfone) comparirà in media entro mezzora dalla
somministrazione e durerà allincirca per 4 ore. In caso il paziente riferisca
ancora dolore dopo che è trascorso lintervallo di tempo necessario perché il
farmaco possa espletare la sua azione, la dose dovrà essere progressivamente incrementata
fino al dosaggio in grado di controllare il dolore ogni quattro ore senza provocare
effetti tossici.
Le compresse a lento rilascio (morfina, lossicodone non è disponibile in Italia per
ora in questa formulazione) cominciano a controllare il dolore dopo unora,
presentano un picco tra 2-3 ore ed il loro effetto dura mediamente 12 ore. In caso lefficacia
dellanalgesia sia di durata inferiore andrà aumentato il loro dosaggio (non ridotto
lintervallo tra le dosi!).
Il fentanyl transdermico inizia la sua azione circa dopo 12 ore, con un picco tra 24-48
ore e la sua azione dura mediamente fino alle 72 ore. Nella somministrazione sottocute
(morfina o idromorfone) leffetto analgesico si verifica in 10-15 minuti e dura da 3
a 4 ore. Per via endovenosa, infine, lazione inizia dopo 5 minuti e dura in media
1-2 ore.
Tabella 7.Principi generali di
trattamento del dolore |
Lesperienza dolore è
qualcosa di unico e di irripetibile in ogni individuo. Essa risulta differente tra
paziente e paziente, e anche nello stesso soggetto in differenti momenti della sua
malattia. Il non tenerne conto rischia di far fallire qualsiasi piano di trattamento
nonostante i buoni propositi che lo possono accompagnare.
In questo tipo di malati il dolore non è soltanto unesperienza fisica, ma si
compenetra in modo indissolubile con i vissuti di natura psichica, morale, sociale e
spirituale del paziente che interagiscono ampliandone talvolta in modo esponenziale la
percezione. Il non tenerne conto rischia di rendere il trattamento inefficace.
Valutate attentamente il dolore riferito dal paziente e registrate lintensità
che egli vi riferisce, senza cercare di codificare a priori lintensità del dolore
sulla base del tipo di sintomo riferito, cercando di oggettivarla con semplici strumenti,
(es. scale analgesiche visive).
Tenete conto in gran conto quanto riferito dal paziente in merito allintensità
del dolore, evitando di applicare al trattamento schemi preconfezionati, che non tengano
conto della situazione attuale.
Evitate di proiettare esperienze personali, preconcetti e pregiudizi nella
valutazione del sintomo.
Rivalutate continuamente il dolore e modificate di conseguenza il trattamento. La
gestione giornaliera del sintomo consente di somministrare il dosaggio più efficace e di
prevenire o gestire allinsorgenza i possibili effetti collaterali.
In caso di dolore violento resistente ai trattamenti o mal controllato aumentate la
frequenza delle valutazioni del sintomo (anche più volte al giorno).
Usate farmaci o tecniche di trattamento che risultino proporzionate alla severità
e al tipo specifico di dolore che avete diagnosticato e che volete trattare.
Fate riferimento sempre come linea guida nella scelta del farmaco da somministrare
alla scala analgesica OMS che prevede 3 gradini progressivi per il trattamento del dolore.
Somministrate i farmaci in quantità sufficiente e a intervalli adeguati tra le
dosi, tenendo conto delle differenti emivite e della differente potenza di ciascuno.
Ricordate che esiste per i farmaci di 1° e 2° gradino della scala analgesica
"leffetto tetto" ("ceiling effect"), per cui in caso di mancata
risposta al dosaggio massimale consigliato di ciascun farmaco non aumentate la dose ma
passate al gradino successivo o integrate il trattamento con i coanalgesici.
Non usate contemporaneamente farmaci dello stesso gradino, non ha nessun razionale.
Somministrate i farmaci per bocca tutte le volte che questo è possibile. La
morfina a rilascio controllato è un farmaco di prima scelta nel trattamento del dolore
severo nei pazienti con cancro o HIV/AIDS. |
Tabella 8.Principi
generali di trattamento del dolore |
La terapia orale è efficace
in circa l80% dei pazienti con dolore severo.
Fate somministrare i farmaci seguendo uno schema fisso e a intervalli regolari,
prevenendo linsorgenza di una recidiva della sintomatologia attraverso il
mantenimento di un dosaggio ematico di farmaco sufficiente a controllarlo. Svegliate il
paziente per somministrare la dose notturna del farmaco se prevista utilizzate sempre
quando possibile prepazioni long-acting per evitare risvegli inutili.
Limpiego di una terapia al bisogno oltre a risultare spesso inefficace
determina da parte del malato richieste di dosi maggiori di farmaco per la paura che
scatena il ripetersi dellesperienza dolore, favorendo la possibilità di ottenere un
trattamento inadeguato.
Lasciate sempre delle istruzioni, preferibilmente scritte in modo semplice e chiare
per trattare eventuali esacerbazioni.
Chiedete se si sono presentati effetti collaterali e trattatateli alla loro
insorgenza. Alcuni si autolimitano con il proseguimento dellassunzione del farmaco o
con adeguamenti posologici (nausea, vomito, sedazione). Altri come la stipsi persistono
per tutto il trattamento e vanno trattati preventivamente (lassativi da subito).
La paura della depressione del respiro è pressoché inesistente in presenza di
dolore, facendo uso di dosi adeguate, in quanto il dolore stesso è il migliore antidoto
alla depressione respiratoria.
Usate sempre se possibile farmaci per i quali esiste lantidoto e tenetelo a
portata di mano.
Valutate sempre se esiste tolleranza che si manifesta con labbreviazione dellintervallo
di efficacia o la riduzione delleffetto analgesico.
Non scambiate la dipendenza fisica (tipica del trattamento con oppiacei) con la
dipendenza psicologica del fenomeno di abuso.
Non pensate che i farmaci siano lunico mezzo per controllare il dolore.
Valutate sempre gli aspetti, psicologici, sociali, economici, morali e spirituali
associati al sintomo.
Insegnate alla famiglia gli elementi essenziali del trattamento del dolore.
Ricordate di rapportarvi sempre ad ogni malato, come ad un individuo unico, che
porta richieste, forza, debolezza uniche, ogni volta, nellesperienza della malattia
terminale.
Tenete un diario scritto dellintensità e del tipo dei sintomi manifestati e
del trattamento somministrato. Il diario deve essere semplice nella forma, scritto in modo
leggibile e contenere le indicazioni necessarie al trattamento di eventuali riacerbazioni
che si possono presentare nonostante la terapia di base e degli effetti collaterali che si
prevede possano manifestarsi. Esso deve essere tenuto a portata di mano nella camera del
paziente a disposizione di tutti coloro che si occupano del paziente (familiari ed
operatori). |
|
Gli adiuvanti
Limpiego della terapia adiuvante
nel paziente con cancro ha tre utilità principali:
incrementare lefficacia della terapia analgesica di base con oppiodi;
permettere di ottimizzarne i risultati, consentendo di aumentarne progressivamente
le dosi con il controllo e la gestione dei loro effetti collaterali;
trattare specifici tipi di dolore che non rispondono alla tradizionale terapia
analgesica con farmaci specifici (es. triciclici e anticonvulsivanti per dolore
neuropatico, cortisonici per quello da ipertensione endocranica).
Tabella
9.Farmaci adiuvanti impiegati insieme a quelli della scala analgesica |
Farmaci
per il controllo degli effetti collaterali |
Psicostimolanti |
Analgesici
secondari |
lassativi
antiemetici |
sedativi
notturni
ansiolitici
antidepressivi |
corticosteroidi
antidepressivi
anticonvulsanti
miorilassanti |
Se nel novero di questi farmaci
entrano sicuramente quelli per il trattamento della stipsi, della nausea e del vomito,
accennati in precedenza, le quattro categorie più importanti di uso comune tra i farmaci
adiuvanti sono: i Fans, i corticosteroidi, gli antidepressivi triciclici e gli
anticonvulsivanti.
Fans
I Fans infatti, oltre al loro valore di farmaci per il controllo del dolore
al primo gradino della scala analgesica OMS, risultano estremamente efficaci nel
trattamento del dolore da metastasi ossea insieme al "flash antalgico"
(la morfina ha scarsa efficacia in questa indicazione), come pure nel trattamento del
dolore da infiltrazione dei tessuti, da artrite o sierosite o da recente intervento
chirurgico.
Cortisonici
I cortisonici risultano utili nel trattamento di sintomatologia algica
dovuta a compressione nervosa, a distensione di visceri, a infiltrazione dei tessuti o a
ipertensione endocranica. I dosaggi consigliati sono mediamente 4-8 mg di desametasone o
16-32 mg di metilprednisolone o ancora 20-40 mg di prednisolone per os 2-3 volte al
giorno. In caso di compressione midollare acuta o di segni di ipertensione cranica grave,
se opportuno, si possono somministrare 10-20 mg di desametasone o 40-80 mg di di
metilpednisolone e.v. ogni 6 ore, con dosaggi di carico o ogni 6 ore per i primi 2-3
giorni che possono raggiungere per il desametasone i 40-100 mg.
Antidepressivi
Gli antidepressivi triciclici sono farmaci da impiegare come prima scelta
nel trattamento del dolore neuropatico (che per definizione non risponde al trattamento
con Fans o paracetamolo). Essi possono, in aggiunta, migliorare la depressione o linsonnia
che accompagna di frequente il decorso della malattia.
I tre farmaci più impiegati per questa indicazione sono lamitriptilina, la
nortriptilina e la desipramina. Lamitriptilina è quello più usato fino ad ora, ma
è limitato nel suo impiego dalla frequente comparsa, alle dosi efficaci, degli effetti
collaterali più tipici dei triciclici, in particolare secchezza delle fauci e sedazione,
che sono mal tollerati, conducendo spesso ad autoriduzione o sospensione del farmaco. Gli
ultimi due presentano mediamente con minore frequenza di questi effetti indesiderati e
consentono quindi con più facilità di aumentare il loro dosaggio fino a raggiungere
quello che risulta mediamente efficace senza intolleranze gravi.
Si deve iniziare il trattamento con bassi dosaggi, per esempio 10-25 mg al giorno,
somministrati preferibilmente prima di dormire. Nei pazienti ansiosi o estremamente
sensibili ai loro effetti, per evitare che non vogliano più assumere le somministrazioni
successive per leccessiva sedazione, può essere utile far assumere inizialmente
dosaggi ancora più bassi (es. 5 mg).
Per il trattamento del dolore neuropatico i dosaggi utili da somministrare sono nettamente
inferiori a quelli antidepressivi, ma, affinché questi farmaci possano esprimere in pieno
tutte le loro potenzialità adiuvanti, compresa la loro azione su depressione e insonnia,
andrebbero impiegati, se tollerati, a dosaggi alti in monosomministrazione serale (pari
rispettivamente a 100-150 mg per nortriptilina e a 150-300 mg per la desipramina).
Il tempo necessario per ottenere risultati è mediamente di 2-4 settimane dallinizio
della terapia e va spiegato chiaramente al paziente prima del suo inizio, per non creare
aspettative in tempi brevi o scoraggiamenti e delusioni nel periodo in cui il farmaco deve
raggiungere la sua concentrazione ematica ottimale per esprimere tutta la sua efficacia.
Eseguire il dosaggio ematico di questi farmaci, dove sia possibile, consentirà di
controllare da vicino la compliance alla loro assunzione, di evidenziare eventuali
alterazioni nel loro metabolismo e di prevenire gli effetti tossici da sovradosaggio.
Anticonvulsanti
In caso di persistenza del dolore neuropatico, nonostante si stia già
effettuando una terapia con triciclici da alcune settimane a dosaggio ottimale, è
indicato aggiungere a questi un farmaco anticonvulsivante. Esso va utilizzato da solo per
questa indicazione in caso di intolleranza ai triciclici o per il trattamento di mioclonie
da oppiodi. Questo tipo di farmaci è di primo impiego in presenza di un dolore
neuropatico lancinante o con caratteristiche di scariche fasiche
"simil-epilettiche".
I farmaci usati più di frequente in questo caso sono la carbamazepina e il clonazepam, a
dosaggi per bocca di 200 mg da 2 a 4 volte al dì per la prima e di 0,5-1 mg tre volte al
dì per il secondo. Anche quì è utile effettuare periodicamente un monitoraggio dei
livelli ematici per valutare la compliance e prevenire problemi tossici da sovradosaggio
e/o alterato metabolismo.
Come per i precedenti è utile iniziare la terapia con dosaggi ridotti, in genere 50%
della dose più bassa e salire progressivamente, aumentando il dosaggio ogni 3-4 giorni,
fino a raggiungere senza inconvenienti la dose efficace ottimale. |
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