“I cigni quando si accorgono che stanno per morire … cantano moltissimo e benissimo,
essendo contenti perché stanno per andarsene … Gli uomini mentono anche sui cigni e
sostengono che essi, prima di morire, cantino per il dolore…”
Platone, Fedone, 84-85
Mi accade ogni giorno di parlare, quasi sempre con strumenti virtuali, con medici amici, giovani colleghi, collaboratori, pazienti e cittadini di come stiamo vivendo, ognuno nella propria condizione, la situazione attuale.
Il punto di osservazione è ovviamente diverso. Profondamente diversi sono gli stati d’animo, le considerazioni, gli elementi critici.
Tuttavia tutti esprimono la comune percezione che siamo arrivati al punto di rottura di una situazione professionale che non riesce più a comprendere come uscire da un’impasse insanabile.
La frase che esprime questa percezione è: peggio di così non siamo mai stati e così non si può più andare avanti.
Per non dire, poi, dei numerosi, a volte fastidiosi, convegni online in cui si chiede a me e ad altri medici di famiglia di raccontare come stiamo vivendo la nostra condizione professionale, come Covid-19 ha alterato la nostra vita, il nostro rapporto con la quotidianità della professione, il cui ritmo e i cui contenuti sono ormai completamente stravolti e resi irriconoscibili da un’esperienza imprevedibile che ha alterato la prospettiva stessa dei modi in cui questa professione possa essere praticata oggi e di quale prospettive abbia per il futuro.
Tutti, sia i colleghi medici che i nostri pazienti, esprimono la loro difficoltà a capire, non tanto cosa sta accadendo: la pandemia è sotto gli occhi di tutti; l’incredibile sovraccarico di lavoro, l’insopportabile fatica di svolgere, malgrado tutto, le funzioni tradizionali della Medicina Generale, cioè prendersi cura dei pazienti, che sono ormai impossibili da compiere in maniera decorosa, sostituite per necessità da prestazioni e processi che non lasciano più spazio alla normalità quotidiana.
Il peggio che potesse succedere è accaduto. Alla stanchezza e al disorientamento si è aggiunta la difficoltà a comprendere perché si sia arrivati così impreparati a questa emergenza della Medicina Generale.
Perché a tutti i problemi da sempre conosciuti non si sia mai posto rimedio. Perché oggi si invochi una revisione radicale della medicina delle cure primarie come un miracoloso toccasana dopo aver fatto finta per quarantatré anni che quel modello organizzativo, quelle risorse, quella gestione del lavoro, quella programmazione delle strutture territoriali, dei nuovi medici di famiglia, della loro formazione, quella valutazione della loro prestazione professionale fossero soddisfacenti, adeguati ai bisogni correnti di questo Paese.
E invece lo sapevamo benissimo da decenni che così non si poteva e non si doveva andare avanti. Che questo sistema era stupido, palesemente inefficiente. Era un sistema, quello che oggi i medici di famiglia italiani sono costretti a subire, così modesto nella sua organizzazione e nel suo finanziamento che anche una banale emergenza lo avrebbe travolto e ne avrebbe alterato per sempre gli equilibri, figurarsi un cataclisma come Covid-19.
Certo l’emergenza ha buttato benzina sul fuoco. Ma l’amara considerazione che stessimo viaggiando in riserva da almeno trent’anni e che fossimo agli sgoccioli da molto tempo è roba vecchia.
Occorre dirselo con chiarezza e con franchezza: siamo arrivati alla resa dei conti. La medicina delle cure primarie, tutta intera, inclusa la sanità pubblica, non funziona.
Ha fatto finta di poter tirare a campare con qualche pannicello caldo, qualche ritocco, qualche mano di cipria. Si è fatto finta, con insopportabili quanto inutili chiacchiere retoriche, che bastasse cambiare qualcosa, un’altra tornata di chiacchiere, discorsi, convegni sul rapporto ospedale-territorio e altre simili baggianate e tutto si sarebbe aggiustato.
E invece non era e non è più così. Il tempo è scaduto e non si può più fare finta di nulla. Il prossimo tronfio trionfalismo produrrà la catastrofe.
Ogni borioso furbesco tentativo di minimizzare, rassicurare, promettere l’aria fritta produrrà oggi l’unica reazione che è logico attendersi: una straordinaria violenta reazione di collera per tutte le occasioni perdute, per tutto quello che non è stato fatto, per tutti i cambiamenti che dovevano essere fatti da decenni e per tanti altri motivi incluso, ce lo vogliamo dire chiaramente e una volta per tutte, il troppo opportunismo da parte di molti di noi, che nell’inefficienza hanno trovato un pretesto per adagiarsi in un trantran professionale frustrante ma alla fin fine comodo nel suo distaccato disimpegno.
Ora certi nodi sono arrivati al pettine. È inutile farsi illusioni. Il PNRR e alcune sue conseguenze sono ineludibili.
È inutile farsi illusioni. Alcune decisioni su modelli organizzativi perversi e illogici possono essere prese. Alcune scelte ottuse fanno parte ormai dell’armamentario di chi scrive le riforme sanitarie a tavolino non avendo mai praticato un solo giorno la medicina e non avendo mai visto in faccia un paziente.
Sotto le mentite spoglie di una grande riforma potrebbe arrivare una catastrofica revisione burocratica del sistema delle cure primarie fatta di soluzioni prive di qualunque razionalità, contrarie al concetto di efficienza clinica e organizzativa.
Corriamo seriamente il rischio di sprecare quanto di buono abbiamo costruito in quarant’anni, le qualità che abbiamo raggiunto, il capitale di buona pratica professionale che abbiamo accumulato.
Non è più rinviabile un grande momento collegiale di confronto tra tutti noi che la SIMG propone da due anni nella forma di una Conferenza Nazionale delle Cure primarie.
Un momento di riflessione senza paure e senza vergogna di nulla nella quale non solo non ci si pianga addosso, ma si discuta apertamente di tutto e si abbia il coraggio di presentare nuove idee e nuovi progetti. Se ce li abbiamo, le idee e i progetti.
E nella quale auspicabilmente restino a casa quelli che le idee e i progetti non li hanno o non li vogliono avere dato che in fondo in questo andazzo si trovano bene o hanno semplicemente timore di cambiare.
Perché ormai la necessità di cambiare radicalmente un andazzo che non può più durare è l’unica opzione che questa professione e questo sistema sanitario hanno per sopravvivere.
Peggio di così non può più andare. Dobbiamo trovare la forza e l’orgoglio di proporre noi il cambiamento virtuoso, prima che con il pretesto del PNRR qualcuno distrugga la Medicina Generale italiana.
Facciamo in modo di non sostituire chiacchiere con chiacchiere, retorica con altra retorica. Sarebbe davvero il canto del cigno che canta perché sa che sta per raggiungere l’aldilà.
Claudio Cricelli